L I V E – R E P O R T


Articolo di Laura Savoini

«Come mai Intimo Sexy?» È la domanda che mi ha fatto mia madre poco prima che uscissi di casa per andare a Milano al concerto dei Baustelle. Quando sono arrivata al teatro degli Arcimboldi non solo non avevo una risposta a quella domanda, ma non me ne ricordavo neanche più. A farmi tornare in mente quella breve conversazione è stato niente meno che Francesco Bianconi. Oltre a riproporre la stessa frase, il cantante ha fornito, a me e a tutto il pubblico, una risposta semplice e concisa: «Non lo sappiamo neanche noi.» L’arcano quindi non verrà mai svelato; quel che è certo, come specificato dal cantante stesso, è che la band non si esibirà in mutande sul palco. Poco male, del resto non servono certo pizzi o biancherie succinte ai Baustelle per creare uno spettacolo indimenticabile.

Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini salgono sul palco in vestiti oversize e total black, eleganti e graffianti come solo i Baustelle sanno essere. Nell’atmosfera quasi sacrale che si crea poco prima di uno spettacolo, il sipario si alza in concomitanza con le prime note di un’inedita Amanda Lear. Non ci sono toni elettronici o ritmi rock, la sera del due maggio tutto è stato riarrangiato in una chiave acustica che si adatta perfettamente alla cornice teatrale in cui è posta.

In questa prima parte di concerto propongono versioni raffinatissime della malinconica Martina, lo straziante Alfredo e la talentuosa Betty. È poi arrivato un momento della serata in cui ho iniziato a mettere in dubbio se ciò che avevo davanti fosse uno spettacolo dal vivo oppure un enorme schermo cinematografico su cui venivano proiettate le immagini di un concerto surreale. Sulle note di Nessuno, ogni colore ha abbandonato la scena per lasciare posto a un gioco di luci basato sull’alternarsi di bianco e nero. Il risultato di questa performance monocroma, unita al pavimento a scacchi del palco, fa sembrare i Baustelle usciti direttamente da un film dei primi anni duemila di Tim Burton. Con i suoi tratti spigolosi e oblunghi, Bianconi, come Brasini, perennemente impegnato a incantarci con la sua chitarra, sembrano dei grotteschi e perfetti personaggi di quei cartoni animati che tutti noi abbiamo imparato ad amare. Che dire poi di Rachele Bastreghi? Un’artista a 360 gradi, dotata di un talento a dir poco esplosivo. Definire energia ciò che la tastierista e voce della band porta sul palco sarebbe riduttivo. Ne è un esempio la sua performance di Cuore, in cui Bastreghi mette in scena uno spettacolo tutto suo. Qui, come durante tutto il resto dello show Rachele non ruba la scena a nessuno, è lei la scena stessa.

Con questo tour i Baustelle condensano in una sola serata tre concerti e se nella prima parte si sono rincontrati amici vecchi e nuovi della loro discografia, nella seconda lo spettacolo adotta tutt’altra dimensione. Quattro specchi fanno da sfondo al medley che unisce Le rane e La guerra e finita, per poi passare all’inno non ufficiale del capoluogo lombardo, Un romantico a Milano. Se resistere alla tentazione di alzarsi e cantare Gli spietati e La canzone del riformatorio è difficile, nell’ultima parte del concerto è praticamente impossibile. Negli ultimi minuti della serata, ci dirigiamo verso un rave, dove ad attenderci non è certo della musica techno. La sala infatti viene inondata di puro alternative rock, che ci regala una delle versioni più belle di quei pezzi che hanno reso i Baustelle ciò che sono oggi. L’intera platea si alza in piedi per ballare e cantare sulle note de La canzone del parco e Gomma. Ed è a bordo della tavola da surf di Charlie, che tutti noi ci avviamo verso la conclusione di una serata che vorremmo potesse non finire mai.

Photo © Francesco Prandoni