R E C E N S I O N E


Recensione di Stefania D’Egidio

Che sia bello è sotto gli occhi di tutti, gli è bastato mostrare il lato B per scatenare un inferno di likes su Instagram, che sia bravo è altrettanto palese da anni, nonostante le critiche mossegli dai puristi del rock, che gli rimproverano le origini alto borghesi, inconciliabili, secondo loro, con lo stato di rockstar alla Jimi Hendrix; ma poi chi ha mai detto che Lenny voglia o debba essere paragonato a uno come Hendrix? È vero che il suo essere afroamericano (tra l’altro per metà) renda facile il confronto con leggende del passato quali Hendrix, Prince, Marvin Gaye, ma Kravitz è Kravitz e se gli sono state attaccate delle etichette per chiare esigenze di marketing non è certo colpa sua. Ben diverso nello stile di vita dai nomi sopracitati, a 60 anni appena compiuti, possiede un fisico da fare invidia a qualsiasi ventenne, frutto di tanta attività fisica all’aria aperta e di un’alimentazione rigorosamente sana, sembra incarnare il prototipo di star del nuovo millennio, avvezzo alla tecnologia, ai social e altre diavolerie moderne, ma ben ancorato ai valori del passato (non è un caso che la casa discografica porti il nome di sua madre); polistrumentista capace di realizzare interi album da solo, siamo abituati a vederlo imbracciare la sua Gibson Flying V, ma in realtà suona batteria, basso, pianoforte e synth: forse proprio per questo rappresenta un trait d’union tra i vari generi musicali che hanno contraddistinto i grandi artisti afroamericani (dal rock al funk, dalla disco al soul).

Blue Electric Light è la dodicesima fatica in studio del musicista americano, uscito a distanza di cinque anni dal precedente, e dodici sono le tracce dell’album scritte e prodotte quasi tutte da lui, ad eccezione della storica collaborazione con il chitarrista Craig Ross; in una recente intervista Kravitz ha dichiarato di essersi divertito molto a realizzarlo, indipendentemente dal successo che potrà avere in termini di classifiche e vendite e vi dirò subito che, nella mia scala di gradimento, è un tantino sotto Raise Vibration del 2018: non perché sia brutto, per carità, ma semplicemente diverso. Di sicuro un lavoro più funky dove le chitarre passano quasi in secondo piano, eccezion fatta per quella ritmica e per alcuni gradevoli assoli, come in Paralyzed e nella titletrack, lasciando il passo a sintetizzatori, drum machine e fiati, in TK421, Honey e Love Is My Religion ad esempio. Interessanti le parti vocali, invece, a conferma della grande duttilità vocale di Lenny, capace di passare dai falsetti alla Prince, come in Bundle of Joy, a timbriche più cupe, come in Stuck In The Middle, fino alla sensualità sussurrata di Blue Electric Light, e altrettanto accattivanti quelle di basso, con delle ritmiche che, a tratti, ricordano la discomusic anni ’70 e i grandi bassisti della decade successiva, John Taylor dei Duran Duran e Marc King dei Level 42 su tutti.

Il brano che meno mi convince è Let it Ride, ritmo ossessivo e suoni elettronici, mentre i miei preferiti sono di gran lunga TK421, Honey, una ballad romantica dal sapore soul, Paralyzed, il pezzo con il piglio decisamente più rock, per la batteria scoppiettante, l’uso di chitarre distorte e wah wah, dall’intermezzo quasi psichedelico, e Human, traccia molto orecchiabile, quasi da ballare. Non mancano nell’album dei passaggi spumeggianti, come in Bundle of Joy, in Love Is My Religion e in Heaven; di fatto l’unico pezzo dall’atmosfera drammatica sembra essere Spirit In My Heart, reso interessante dal pathos con cui Kravitz canta e, non so perché e non me ne vogliate per il paragone, ma a me ricorda tanto Ce la Farò di Alex Baroni. Che dire ??? Sicuramente un album piacevole, che non fa cadere mai nella tentazione di andare oltre, anche ascoltandolo in streaming, e forse non raggiungerà le vette dei primi lavori o di Five, ma conferma la vena creativa dell’artista e l’enorme abilità di abbracciare diversi stili e tendenze. Sentirlo dal vivo nelle tappe estive già annunciate a Lucca, Perugia e Lido di Camaiore, sarà ancora più esaltante perché è proprio nella dimensione live che Kravitz dà il meglio di sé, con la sua immensa presenza scenica e le indiscutibili capacità tecniche.

Voto: 8/10.

Tracklist:
01. It’s Just Another Fine Day (In This Universe of Love) (06:19)
02. TK421 (05:27)
03. Honey (03:50)
04. Paralyzed (04:28)
05. Human (04:27)
06. Let It Ride (03:35)
07. Stuck in the Middle (05:10)
08. Bundle of Joy (05:06)
09. Love Is My Religion (03:47)
10. Heaven (04:49)
11. Spirit in My Heart (04:33)
12. Blue Electric Light (03:53)