R E C E N S I O N E


Recensione di Antonio Spanò Greco

È un vero piacere scrivere nuovamente (leggi qui e qui) su questa rivista di Andrea Van Cleef, chitarrista, polistrumentista, cantante e songwriter bresciano, in occasione dell’uscita del suo quarto album solista, Horse Latitudes. Outsider e militante da più di vent’anni nell’universo musicale, ha calcato innumerevoli palchi non solo italiani, con formazioni dal sound heavy-stoner psichedelico, per poi cimentarsi da qualche anno e con ottimi risultati, in lavori a proprio nome dal sound marcatamente rock. Cantautorato di stampo decisamente americano in questo Horse Latitudes, più accentuato verso il country, il southern gothic e il folk, accompagnato dalla sua caratteristica e cavernicola voce che ricorda i grandi Johnny Cash, Mark Lanegan e Nick Cave.

Horse Latitudes ha la peculiarità di essere stato realizzato in due continenti, Europa e America, precisamente a Kyle in Texas e a Montechiari in provincia di Brescia. Le prime sessioni avvengono durante il tour texano tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 nello studio Smilin’ Castle Production di Rick Del Castillo (celebre chitarrista, musicista e produttore, nonché collaboratore di famose colonne sonore) con musicisti della scena di Austin, tra cui spicca Matthew Smith, noto chitarrista e autentica leggenda di Austin. In Italia Andrea si affida all’ingegnere del suono Simone Piccinelli con l’apporto dei musicisti con cui si accompagna abitualmente e l’importante partecipazione di Dana Colley, sassofonista dei compianti Morphine e i cori dei Black Jack Conspiracy.

A Horse Named Cain è una ballata oscura e ipnotica resa ancora più cupa dalla voce baritonale di Andrea, con l’organo che tira note come fendenti, mentre Arrows, tanto delicata quanto inquietante, è una folk song con un bell’arpeggio di chitarre e un finale da brividi. The Longest Song è un country dai risvolti psichedelici con il violino in evidenza; la ballata country western di ampio respiro Love Is Lovely è impreziosita dalla bella voce di Ottavia Brown. Thing, uno dei miei brani preferiti per la sua semplicità e scorrevolezza, sa di nostalgia e di ricordi che scaldano l’animo. Ooh La La, l’unica cover presente nell’album, è un brano dei Faces datato 1973, riproposto in maniera leggermente più intima e giocosa. Fire In My Bones ballata combat folk, è forse l’episodio più europeo dell’album con ottimi inserti al violino. Come Home sa di polvere, deserto e sudore, miraggi che forse si realizzano sotto un cielo infuocato. Slaughter Creek è la versione western e personale di Andrea di un famosissimo brano del grande De Andrè, o almeno mi piace pensarla sia così. The Disappearing Child, dai contenuti significativi che, come affermato dallo stesso Andrea, difficilmente verrà presentato in tour, nel testo riprende il tema celtico degli spiriti dei boschi che sarebbero spiriti di bambini smarriti, stupendo brano cantato insieme alla brava Ottavia Brown. The Real Stranger chiude l’album, finale dai risvolti epici, ricordi di lontane avventure e tristi prese di coscienza con il sassofono di Colley che disegna lamenti e rassegnazioni.

Andrea sa scrivere canzoni, ottime canzoni! Il livello qualitativo cresce di album in album, quest’ultimo lavoro per certi versi ci sorprende, ci affascina e ascolto dopo ascolto lo si gusta sempre meglio.

Tracklist:

01. A Horse Named Cain 03:28
02. Arrows 03:24
03. The Longest Song 02:53
04. Love Is Lonely 03:21
05. Thing 02:52
06. Come Home 05:00
07. Ooh La La (Faces Cover) 03:39
08. Fire In My Bones 03:19
09. Slaughter Creek 03:06
10. The Disappearing Child 03:34
11. The Real Stranger (featuring Dana Colley) 07:12

Foto © Michele Aldeghi