michael mcdermott west side stories

Articolo di Fabio Baietti


Quanti fantasmi seduti sulle panche di legno di questo vecchio treno. Tante ancora sono le fermate sul suo percorso in mezzo al nulla. Wichita è l’ultima, prima di immergersi nella notte e arrivare a Jackson il mattino dopo.


Rosie e Lucky Leo sono gli ultimi a salire a bordo per unirsi alla sconosciuta compagnia. Oscurità profonda che lascia la bocca secca e invoglia a scrivere una poesia per un Amico. La luce fioca del vagone illumina il viso di un tizio strano. Ha lo sguardo assente, come se tenesse dentro mille storie da raccontare. Oppure idee malsane, alimentate dal dolore e dai troppi giorni passati dietro le sbarre di una prigione. Forse vorrebbe avere una pistola. Se per puntarla su di sé o per sparare in mezzo agli occhi all’ingiustizia, questo non lo sapremo mai.


C’è un tipo con una chitarra riposta nella sua custodia. Se ne sta in disparte in un angolo, solo con i suoi pensieri. Ha vagato per anni, di bar in bar. Da quelli luccicanti delle metropoli ai locali polverosi e desolati della provincia più profonda. Cercando di regalare un’emozione anche ad un solo spettatore, perché quando hai una buona canzone non è importante quanti siano ad ascoltarla. Ha spedito cartoline dai sobborghi di Forth Worth, da Biloxi, da Tupelo. Da città improbabili, ai margini delle cartine stradali del successo. Ne ha mandata anche una da una NYC che non trovi sulle guide, fatta di vie strette e locale male illuminati. Dove è facile che il suono più ricorrente sia quello di una pistola e non di una chitarra. Ripensa a tutti gli angoli visitati di un’America di retrovia, lontana dai fasti e dai lustrini. Alle miglia fatte per sentirsi poi prigioniero, per capire lo svelarsi delle cose e prendere coscienza di sé. Ripensa ad un Amico, pronto a dare una mano nei tempi difficili, senza chiedere nulla in cambio.


Vicino alla porta che separa i vagoni c’è un uomo in fuga. Arriva da una metropoli che non ha più memoria, dove troppi hanno chiuso bottega. Ha visto abbassare le saracinesche a molti locali, fari che illuminavano una gioventù spesa a costruire sogni, tutti sprofondati sotto il loro pavimento. Anche i sogni di un padre, leale a quei luoghi pur sapendo che andarsene sarebbe stata la soluzione migliore. Ripensa agli amici, vuole tenere viva la memoria. Quella perduta tra il molo 86 e il bar di Manganaro, oppure tra la 9 e la 10 dove troppi se ne sono andati a farsi un giro nella Cucina dell’Inferno.


Rosie ha preso posto vicino al finestrino, non riesce a dormire. D’altra parte, sa che non può avere con sé la sua devota TV, sempre accesa di notte per consentirle di prendere sonno. Sta fuggendo perché un uomo ha tentato di avvicinarsi troppo al suo cuore. Sembra circondata da un cerchio che separa il suo mondo da quello di chi gli sta intorno. Non ha mai avuto dubbi, nemmeno quello di barattare un Amore per qualche soldo in più da trovare sotto i grattacieli di Houston. Come una canzone che nessuno conosce e che solo lei può cantare. I controllori, intanto, lasciano cadere in gola qualche sorso di liquore di infima qualità. Aiuto prezioso per tener vivi i ricordi di quando viaggiavano su treni provenienti dalla montagna, sotto tormente di neve. Oppure su vecchi convogli a vapore che sferragliavano verso le coste dell’Est, così diversi dai potenti motori che tagliano oggi boschi e praterie sterminate.


Appartato, un uomo della Legge si liscia i folti baffi biondi. Il suo nome è Tippet. Da pochi giorni ha consegnato alle sicura lama del boia un brutto ceffo. Un “senza meta” accecato dall’amore per una donna, conscio che ciò l’avrebbe portato alla morte. Uno dei tanti a cui Tippet ha stretto le manette ai polsi, consolato da una frase (“Ognuno ha il suo Calvario”) che, ben prima del processo, appariva già una sentenza.


Intanto, il tipo con la chitarra ha il cuore troppo gonfio di vita per non farsi ispirare dal buio che accompagna il suo viaggio. Perché, a volte, si ha bisogno dell’oscurità per vedere la luce.


Le ruote del treno stridono su binari invecchiati male, la corsa non può avere fine.