R E C E N S I O N E
Recensione di Riccardo Talamazzi
Empty Music, album di esordio del batterista Marco Frattini nasce, in fondo, da una magnifica ossessione. L’assillo si presenta sotto le spoglie della musica di un altro artista molto eclettico, il canadese Chilly Gonzales – pseudonimo di Jason Charles Beck – che proviene dal mondo dell’elettro pop e delle colonne sonore ma che ha toccato nella sua carriera generi diversi e apparentemente lontani. Ricordo ad esempio l’insolito duo con Jarvis Cocker, leader dei Pulp, col quale editò Room 29, un bell’album pubblicato da Deutsche Grammophon nel 2017. Ma Gonzales ha manifestato le sue doti di pianista in una serie di dischi in solitudine, tre almeno fino a questo momento, dove è stato celebrato dalla critica con enfasi fin troppo eccessiva – è stato definito da alcuni un novello Erik Satie mentre secondo me è assai più vicino al bretone Yann Tiersen, quello che ha scritto le musiche de Il favoloso Mondo di Amelie, per intenderci….Ed è appunto il primo di questi album ad aver innescato in Frattini una particolare dominante di coscienza, a tal punto da spingere l’Autore italiano a rielaborare alcuni brani di quel disco per dar loro un abito diverso. Così ci si è trovati a mezza strada tra un lavoro improntato al jazz – alcuni riferimenti a quello nordico degli E.S.T e seguaci – ed una visione soggettiva che si muove nell’ambito di un melodismo a tratti rockkeggiante, con qualche suggello di stampo classico. Ma Frattini, essendo batterista, ha avuto evidentemente bisogno dell’apporto di un pianista per scrivere le sue idee, trovandolo nella figura del bravo Claudio Vignali che, oltre ad essere un jazzista con significative collaborazioni nel suo curriculum – Fabrizio Bosso, Flavio Boltro, Mauro Negri, Fulvio Sigurtà, Achille Succi, Carlo Atti, Joe Locke, Rob Mazurek, Gretchen Parlato e altri ancora – è anche un pianista dall’importante educazione classica. A completare il trio un altro pezzo da novanta, cioè il contrabbassista Gabriele Evangelista, il cui curriculum collaborativo è così ampio che sono costretto a rimandarvi alle note di WikiPedia – faccio solo quattro nomi, se mai vi dovessero bastare, e cioè Enrico Rava, Stefano Bollani, John Scofield e Dave Douglas, consapevole di fare torto ad un fiume di altri musicisti certamente non da meno. Da segnalare gli interventi di Gionata Costa al violoncello e Mattia Dallara che interviene con effetti sonori – tra l’altro Dallara è anche il produttore di questo album. Frattini, dal canto suo, lo avevamo già notato attraverso le collaborazioni con i misteriosi e sperimentali C’mon Tigre ma in più ha dalla sua una seria istruzione musicale, conseguita sia in Italia che negli USA. Tutto torna, nelle nostre esistenze e qualche volta ci si volge all’indietro non per mancanza d’idee ma per fare il punto su quello che abbiamo esperito. Stessa cosa avviene in ambito musicale. Sono convinto che Frattini avrà un luminoso seguito di carriera ma nel suo primo passo ufficiale, evidentemente, sente il bisogno di misurarsi con quella musica che attualmente percepisce più importante per sé stesso e che ha avvertito depositarsi, nel tempo, progressivamente dentro il suo animo, strato dopo strato. In tale frangente questa arte di riferimento è appunto quella di Gonzales. Le variazioni apportate agli originali sono un ottimo test per verificare la capacità compositiva di Frattini e magari anche per farsi un’idea – ma qui si gioca di fantasia – sull’evoluzione futura della sua musica

Già il primo brano della selezione, Oregano, presenta un’ottima elaborazione dell’accompagnamento della mano sinistra del piano che sviluppa un’intrigante linea di basso, sulla tastiera, al posto del fin troppo minimale 2/4 proposto da Gonzales. Se il brano originale è solo un appunto di un minuto e trenta circa, a ragion veduta questo di Frattini è una completa rivisitazione di quasi cinque minuti nei quali il pezzo in evidenza viene rallentato, dilatato, arricchito di spunti e direzionalità nemmeno contemplate in origine. Insomma, Frattini & C. apportano una serie di trasformazioni sul tempo, sulla melodia e nell’organizzazione dei suoni, riadattando la traccia nella nuova veste a trio e rendendola molto più godibile, fermo restando la bontà dell’idea di partenza. Anche con Dot il tempo d’esecuzione viene rallentato e in questo allungamento temporale si attua effettivamente una conseguente distensione mentale. Al di fuori della frenesia di Gonzales, nella cadenza lenta di Frattini c’è più spazio per pensare, per sentire e soprattutto si crea un ambiente abitativo per gli altri strumenti, ad esempio in questa circostanza il contrabbasso di Evangelista e il suggestivo violoncello di Costa che contribuiscono al senso emotivo complessivo di questo brano. La melodia di Gonzales è semplice, direi persino scarna, resa con estrema pulizia da Vignali che non cerca gloria personale ma dialoga, nel modo più spontaneo e naturale possibile, con la batteria sempre discreta, quasi attenta a non arrecare disturbo di sorta. Carnivalse, sotto le dita di Gonzales, è come se si esaurisse presto. Il brano è un classico ¾ di un valzer su cui viene disegnata una buona melodia, peraltro abbondantemente “ispirata” – diciamo così – come clima e come sequenza melodica, dal repertorio impressonista francese. Ma nelle mani di Frattini questo pezzo decolla, letteralmente. Innanzitutto il valzer viene alleggerito, in partenza, da un classico tempo intero che fa assomigliare l’intro ad un brano di progressive. Poi subentra il tema, squadernato con l’eleganza dei primi della classe che viene in parte reinventato fino alla decisa ripresa dell’intro. Frattini e compagni fanno scivolare il pezzo originale verso nuovi territori, liberandolo dalle catene con cui era stato concepito, rockkeggiandolo quanto basta e trovando persino il modo, dal minuto 03’08” fino allo 03’25” di incipriarlo con un accenno di bebop!! Overnight, mi si perdoni la franchezza, è di per sé un brano piuttosto bruttino dalla nascita. Frattini cerca di dargli un assetto più decoroso e ci riesce solo in parte, ottenendo peraltro un prodotto finale parzialmente somigliante a certi brani del Martin Tingvall Trio. Comunque nell’intera regione centrale il pezzo cerca di essere nobilitato da un delicato gioco melodico a trois, in cui si organizza un intreccio efficace tra la batteria molto ben suonata con un contrabbasso altrettanto ficcante, mentre il piano lavora le note pulendole il più possibile e tornando, verso le battute finali, all’interno dell’atmosfera nordica sopra segnalata. Gogol, signori miei, è più che un’ispirazione, è quasi un omaggio, per essere gentili, alla figura di Satie. Per fortuna il trio di Frattini comprende l’antifona e si adopera per rendere più autonomo, nei limiti del possibile, il brano dalla sua reale fonte. Qundi cerca di snaturare, a fin di bene, il pezzo originale cercando di farlo evolvere e di vestirlo di ben altra dignità. Anche se la ritmica è pop-rock il contrabbasso è poderoso, quasi una scossa tellurica che trascorre al di sotto dell’arrangiamento di piano e batteria.

Armellodie è invece una tra le tracce migliori del Solo Piano I di Gonzales, una melodia tranquilla, più personalizzata rispetto a molte altre. Il trio di Frattini la porta in palmo di mano e fa virare il brano verso una rilassata atmosfera lounge, con la trovata del sottofondo di voci in inglese che sembrano commenti pubblicitari televisivi. L’ottimo assolo di violoncello si esalta di dolcezza con il piano che l’accompagna con voicing efficaci. Seguirà una sovrincisione dello strumento di Costa per creare un cameristico insieme di archi. Sensazioni cool a profusione ma tutto scorre con fluidità e piacevolezza. Gentle Threat è un altro brano amato dagli dei, sia nella versione originale di Gonzales che in questa di Frattini. L’accompagnamento sulle note gravi della tastiera è velato da una certa cupezza. La bella costruzione di piano di Vignali apre una serie di porte secondarie, adoperandosi verso un assolo meglio caratterizzato e un finale più drammatico. Forse in questo caso è preferibile l’intimo tratteggio di Gonzales, senza strumenti aggiunti. Veramente una grande musica. Paristocrats appare completamente trasformato se non nella sostanza almeno dal punto di vista formale. Quello che per il pianista canadese è una foto retrò dai molti trilli melodici in un clima quasi ottocentesco, per il trio di Frattini diventa l’occasione di deviare il brano, dopo un inizio tutto sommato piuttosto simile all’originale, in una densa esplosione strumentale, con un accompagnamento di piano tra Mussorgsky e Cecil Taylor (!!). Notevolissimo il lavoro percussivo della batteria. Credo invece che Empty Music sia un brano attribuibile al trio, data la mancanza d’informazione specifica nelle note stampe e il mio mancato riscontro di un brano simile nel data-base di Gonzales. La chiusura del disco è infatti affidata a questo pezzo, volutamente rarefatto, costruito con intervalli senza tematismi cantabili. Di stampo impressionista è quasi completamente affidato alle note del piano, a qualche struscio con le spazzole e ad alcune sottolineature di contrabbasso, tutto lavorato con delicatezza lunare, archetto finale compreso.
Certo non è così usuale che un disco d’esordio, soprattutto di un batterista, travalichi il mero omaggio nei confronti di un altro musicista, addirittura un pianista. La riproposizone dei brani di Piano Solo I è infatti qualcosa che va al di là della sensazione di vicinanza emotiva che un artista può avvertire per un altro. C’è, in questo Empty Music, un lavorìo profondo, un’interpretazione non convenzionale delle altrui composizioni, nata non nel tentativo di imitazione ma in quello dell’elaborazione, quasi che Frattini avesse avvertito la musica di Gonzales come fondalmentamente propria, condividendo una sensazione di appartenenza non comune con il pianista canadese. Il trio lavora bene, ha idee e personalità anche se ci si aspetta che il prossimo lavoro nasca completamente autonomo.
Tracklist:
01. Oregano (4:44)
02. Dot (4:35)
03. Carnivalse (5:16)
04. Overnight (7:07)
05. Gogol (3:42)
06. Armellodie (3:48)
07. Gentle Threat (4:51)
08. Paristocrats (4:34)
09. Empty Music (3:27)
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