I N T E R V I S T A


Articolo di Riccardo Provasi

Non c’è niente di meglio di andare ad un concerto e tornare con una nuova band da voler seguire. E coi Dweet è andata esattamente così. Chitarre melodiche e gotiche, basso cavernoso e inarrestabile, batteria precisa come un metronomo e voce malinconica, gli ingredienti perfetti per un sound degno di band come Slowdie, Joy Division e qualunque altro artista sia in grado di connettersi col vostro lato oscuro.
Poco più di quaranta minuti di musica al C.I.Q. di Milano (se non lo conoscete, avete un compito per la prossima settimana!) sono bastati a farmi venir voglia di fare quattro chiacchiere con questi ragazzi: ecco cosa ne è uscito!

Innanzitutto, un po’ di presentazioni!
Siamo Davide Biral (voce e chitarra), Marco Matracchi (batteria), Alessandro Barbaro (basso) e Gabriele Nanni (chitarra), quattro ragazzi di 25/26 anni con una grande passione per la musica. Marco e Davide si sono conosciuti tramite un annuncio su Facebook. Poi Marco ha trovato Alessandro, che ha trovato Gabriele.

Proseguiamo con una domanda ancora facile: quali sono le vostre influenze come gruppo e quali gli artisti preferiti personalmente?
Abbiamo formazioni differenti e per questo influenze diverse. Ascoltiamo musica sin dalle fasce, ma abbiamo iniziato a suonare uno strumento da ragazzini, con basi jazzistiche o di musica classica, passando poi ad altro, perché ci siamo avvicinati al contesto della musica contemporanea e alle sue sfaccettature. Per questo ci riteniamo un gruppo che si può inserire all’interno dell’alternative, che piace a tutti e quattro e ci dà la possibilità di sperimentare.

Vi ho sentiti la prima volta il 25 aprile al C.I.Q. di Milano: che avete combinato prima di quella data, dove suonate di solito?
Precedentemente a quella data stavamo componendo: è stato un processo lungo che ci ha permesso di conoscere noi stessi e gli altri, nonché di approfondire il nostro rapporto con lo strumento. Siamo poi riusciti a trovare i brani giusti e finalmente a suonare dal vivo.

L’11 febbraio è uscito il vostro primo EP di demo, “25 (Freedom of Moving)”, che sinceramente ho trovato un ottimo prodotto, sia sotto il profilo compositivo che sotto la dimensione della riuscita. Come sono nate le tracce?
L’EP riflette il nostro progetto in sé: nasce da un infortunio di Davide (avuto prima dei 25 anni), che ha voluto riprendere in mano alcuni brani scritti subito dopo lo scioglimento del precedente gruppo e rimasti in cantina causa covid, mancanza di stimoli e opportunità. Voleva fare qualcosa di diverso e più sentito. NoMan nasce come brano ispirato ad una sorta di Space Oddity in cui una sonda lanciata nello spazio improvvisamente diventa cosciente e senziente, ma finisce per essere un brano completamente differente. Infatti, parla di un progressivo stato di disagio nei confronti della società e di necessità di isolamento. Tocca velatamente anche il tema della depressione, ma con una nota di speranza alla fine, perché a deprimersi son bravi tutti, ma la volontà di fare qualcosa (anche banalmente un giro in bici) ti può portare ad uscirne. The Price (or The Prize) of Love è una critica all’amore e ha in alcuni punti una nota autobiografica distaccata dall’esperienza amorosa in sé. Parla di una persona che viene mollata da un’altra dopo un periodo di crisi e successivamente vince alla lotteria. Ciò fa sì che chi lo ha lasciato ritorni manifestando superficialità di legame ma venga rifiutato di netto dal protagonista. Il nome Hooligan Jesus nasce da una foto: quella di Vinnie Jones (ex calciatore e ora attore indimenticabile nei film e serie di Guy Ritchie) che strizza gli attributi a Paul Gascoigne. È un omaggio al calcio inglese, ma è anche una riflessione su due temi: Il primo è fondamentalmente rappresentato dall’episodio del Vangelo di Cristo che entra al tempio di Gerusalemme e distrugge i bancali dei commercianti e dei cambiavalute: un vero capo ultrà! Il secondo è rappresentato dalla domanda “cosa può essere l’equivalente di Cristo per gli ultrà?”. Davide ha pensato allo stadio, e voi? Lugano Paradiso nasce da un giro di chitarra registrato in estate, che Davide ascoltava mentre stava andando in treno a Lugano. Sovrappensiero per l’ascolto, ha sbagliato fermata, è sceso a quella prima, ovvero Lugano Paradiso, zona caratterizzata da una bella vista. Entusiasta per il panorama, ha deciso di chiamare il brano in questo modo, anche perché le canzoni dedicate a quella città sono poche.

E scusate… che significa il titolo?
Il titolo è una riflessione sul movimento inteso come spostamento verso un luogo, ma non ha niente a che vedere con il lockdown. Era semplicemente una critica al fatto che nell’hinterland di una grande città non ci si possa spostare liberamente con un mezzo di trasporto pubblico. Orari assurdi, mancanza di personale, inefficienza dei servizi e scioperi fanno sì che si debba sempre ricorrere all’auto, formando code, traffico inutile e perdendo tempo. Il numero 25 poi è relativo alla crisi del quarto di secolo, che si vive attorno al compimento del venticinquesimo anno di età e che molti giovani di oggi stanno sperimentando. I brani scritti da Davide sono per certi versi autobiografici, in quanto riflettono situazioni, pensieri e attimi vissuti, ma scritti tramite il metodo delle “corrispondenze” di Baudelaire.

Quello che trovo fenomenale è la compattezza del vostro sound, conferita a parer mio dalle ottime scelte intraprese in fase di arrangiamento. Chi avevate in mente?
I pezzi sono nati da giri di chitarra che poi sono stati successivamente sviluppati in sala prove.

Avete composto dell’altro materiale? Come avete scelto cosa inserire in questo “biglietto da visita”?
Abbiamo finito recentemente altri 4 brani, che si possono sentire attualmente dal vivo, ma ne abbiamo attualmente altri 4 in cantiere. Abbiamo trovato il nostro modo di comporre e ora stiamo procedendo velocemente: qui l’intervento di Alessandro è stato ed è ancora determinante. Ci interessava creare qualcosa di impattante, specialmente per i brani strumentali. Volevamo un wall of sound. Per quanto riguarda gli arrangiamenti, abbiamo una forte componente ritmica, che crea, taglia e cuce su misura, ma Alessandro, Gabriele e Davide hanno o stanno imparando fondamenti di composizione, per poter crescere artisticamente da quel lato. Marco dal canto suo approfondisce molto il lato ritmico esercitandosi, studiando e ascoltando molta musica, anche proposta dagli altri tre.

Il processo creativo come si sviluppa solitamente?
Partiamo da spunti, in genere giri di chitarra, e poi il processo creativo si evolve diversamente a seconda se il brano è strumentale o cantato: quando lavoriamo su un brano cantato, cerchiamo di impostare la canzone con una struttura che si adatti al testo. Quindi, improvvisiamo finché non troviamo delle basi che ci piacciono per ritornello, strofa ed eventuali ulteriori parti. Quando invece il brano è strumentale, le canzoni non seguono uno schema preciso, ma una determinata atmosfera che si vuole creare. Una cosa che ci aiuta durante il processo creativo è quella di suggerirci degli ascolti da cui prendere ispirazione.

Che cosa vi riserva il futuro?
Altri concerti e poi, chi lo sa, magari anche un album!

Benissimo! Vi ringrazio e non vedo l’ora di tornare ad ascoltarvi ad un concerto!
Grazie a te per l’opportunità e speriamo di risentirci!