R E C E N S I O N E


Recensione di Lucio Vecchio

Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in altre occasioni l’A.Ma Records di Antonio Martino è l’etichetta discografica che ci dà la possibilità, fra le altre cose, di ascoltare ottime produzioni del jazz serbo. Da qualche settimana ha pubblicato il disco Octave Up del pianista, compositore e arrangiatore Aleksandar Jovanović – che si esibisce con lo pseudonimo, o meglio il nome artistico di Shljuka – che per l’occasione ha riunito alcuni dei migliori musicisti serbi nel suo nuovo quintetto così composto: Ivan Radivojevic,
tromba – Rastko Obradovic, sassofono alto e soprano – Milan Pavkovic, contrabbasso – Aleksandar Cvetkovic, batteria. Octave Up contiene otto brani originali e rappresenta simbolicamente una nuova fase nel lavoro creativo dell’autore e una prospettiva fresca sul jazz balcanico. Questo album esplora concettualmente il significato della tradizione nell’innovazione ed in particolare le somiglianze e le differenze tra jazz e musica balcanica. Nella sua espressione musicale, Shljuka incorpora l’eredità serba sotto forma di frasi melodiche, progressioni armoniche e ritmi, combinando il tutto con il linguaggio del jazz, l’improvvisazione e il suono contemporaneo.

Le composizioni riflettono impressioni personali e sono ispirate dall’atmosfera di alcune opere letterarie di autori serbi, dall’ambiente locale e dalla natura. L’album si apre con Five Or None, un brano che oscilla fra sonorità classiche dettate dal pianoforte e incursioni jazz di tromba e sassofono. I cambi di fronte sono forti ma autentici, nel senso che i musicisti ci conducono lungo i percorsi che hanno disegnato sul pentagramma e noi ci lasciamo trasportare dalle melodie cangianti percependo una forte carica emotiva. Tutto scorre e appare naturale. Al più lungo tra i fiumi navigabili dell’Unione Europea è dedicato il secondo brano che iconicamente si intitola Blue Danube. Shljuka affida al sax soprano il ruolo di voce narrante di questa ballata romantica ed atavica. Il pianoforte, sempre rotondo ed avvolgente, accenna degli accordi jazz prima di introdurre la tromba che ci porta in altri territori musicali per poi tornare alla narrazione del sax nel finale di stampo corale. Con What If… le atmosfere diventano più jazz e a tratti funk, compiendo la fusione fra la cultura occidentale e quella orientale. In un attimo si fanno salti kilometrici in un’unione perfetta fra i due mondi. Bellissime le influenze e le contaminazioni che danno vita ad un melting pot di usanze e saperi che sottolineano in maniera preminente il patrimonio che ci dona la multiculturalità. Missing Part è il brano più internazionale del disco in cui risiede un buon jazz moderno. Si perdono le atmosfere autoctone e ci si ritrova in un mondo più vicino a noi. Viene esaltato l’interplay dei musicisti che si trovano perfettamente a proprio agio e giocano alternandosi i ruoli. L’interplay prosegue con Eleven Changes: sulla tromba viene montata la sordina ed è subito bebop. La sezione ritmica spinge e sorregge il passaggio di testimone fra pianoforte, tromba e sax che con naturalezza piegano la trama a proprio vantaggio esaltando le timbriche personali. La sordina sulla tromba rimane anche in Impure Blue. Qui ci ritroviamo idealmente nella grande mela, città dove le culture si incontrano e si mischiano. Molto bello il dialogo fra la tromba ed il contrabbasso a cui è riservato un solo carico di virtuosismo. Uneven Swing più che un titolo è una dichiarazione d’intenti, infatti l’irregolarità è ciò che caratterizza il settimo brano del disco. L’idea che viene suggerita è quella di un’auto che nell’arco di un lungo viaggio debba affrontare diverse situazioni. Si parte su strade lunge e diritte per giungere poi in città dove il traffico caotico impone stili di guida diversi che si adattano alle situazioni. Which Way chiude il disco in una sorta di largo tributo alla modernità ed alla freschezza. C’è spazio per tutti gli strumenti che ribadiscono il proprio carattere. Shljuka riserva al suo pianoforte un ruolo centrale fitto di note su cui vengono ricamati sapienti intrecci di sax e tromba che poi si ritrovano insieme sul tema rafforzandolo e dialogando all’unisono con lo strumento dai tasti color ebano e avorio del band-leader. A sostenere il tutto la parte ritmica che dona spessore e solidità ai virtuosismi dei solisti. Bella la trovata di aprire e chiudere il pezzo con il suono della band che sembra provenire da un citofono: l’effetto è che il combo stia arrivando da lontano e si allontani una volta deciso che il tempo da passare insieme è scaduto.

Octave Up è un lavoro moderno ed ottimamente suonato. È un ponte fra oriente e occidente, un condensato che prende il meglio dalla due culture, miscelandole per restituirci nuove sonorità che danno speranza.

Tracklist:
01. Five Or None (7:25)

02. Blue Danube (5:56)
03. What If… (7:09)
04. Missing Part (8:23)
05. Eleven Changes (5:38)
06. Impure Blue (7:14)
07. Uneven Swing (5:10)
08. Which Way? (7:15)