R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Il titolo di questo ultimo lavoro di Gianluigi Trovesi e Stefano Montanari, Stravaganze Consonanti, è quasi un ossimoro. Se il concetto di stravaganza rimanda a qualcosa fuori dall’ordinario, il termine consonante sembra implicare l’opposto, riferendosi primariamente a suoni che vanno d’accordo, uniti tra loro dal senso matematico delle regole armoniche. Più realisticamente per stravaganza musicale, s’intende una composizione che non segue pedissequamente strutture armoniche molto rigide oppure, pur rimanendo nell’ambito appunto consonante, che dimostra una certa originalità inconsueta e spesso, proprio per questo, anticonformista. La storia della stravaganza in musica non ha forse un riferimento assoluto di partenza ma è nel periodo barocco che ne riscontriamo le prime significative tracce. Ad esempio come in una composizione dal titolo quasi surreal-futurista, “Contrappunto bestiale alla mente” di Adriano Banchieri, musicista bolognese che indirizzò i cantanti ad emettere miagolii, latrati ed altri versi animali. Non possiamo non ricordare, inoltre, le piùfamose e fantasiose Stravaganze vivaldiane o, in tempi più recenti, il Petit Caprice di Rossini che dedicò ad Hoffenbach e alla sua nomea di jettatore un brano in cui il pianista doveva suonare solo con l’indice e il mignolo di ogni mano nel gesto prosaico delle corna. Senza dimenticare quel geniaccio di John Cage con il suo 4’33” di assoluto silenzio, garantito dall’immobilità contemplativa del pianista davanti allo strumento. E ancora Gyorgy Ligeti, con The Alphabet, in cui veniva cantato appunto l’intero alfabeto. La lista può prolungarsi in molti altri esempi ma in questo disco di Trovesi & Montanari troviamo riferimenti ad autori come Henry Purcell, illustre rappresentante del barocco inglese seicentesco, Giovanni Maria Trabaci, italiano della prima era barocca tra ‘500 e ‘600, Guillaume Dufay (1400-1474), autore fiammingo della scuola di Borgogna, Giovanni Battista Buonamente (1595-1642), Andrea Falconieri (1586-1656) e Josquin Desprez (1450?-1521). Quindi musica classico–barocca, questa volta, su Off Topic? Sì, per una volta saremo stravaganti pure noi, rispetto alle programmazioni abitualmente in palinsesto.

Trovesi e il direttore d’orchestra e polistrumentista Montanari affrontano questi autori con assoluto rispetto e come afferma in modo illuminato lo stesso Montanari, in una bella e recentissima intervista all’Eco di Bergamo raccolta da Renato Magni “…musica classica, jazz, rock hanno le loro identità, sono mondi che non vanno confusi. È una fortuna quando possono incontrarsi ma questi incontri devono essere un unicum…”. Come amanti occasionali, quindi, che si frequentano sì, ma non troppo! Intanto i due autori che hanno assemblato questo importante lavoro non sono certo personaggi ordinari, anzi, in un certo senso – e dico questo con evidente misura e un pizzico d’ironia – pure loro manifestano qualche segno stravagante, un pizzico di originale follia che li rende unici. Cominciamo ad esempio da Trovesi. Settantanovenne musicista polivalente, clarinettista e sassofonista, una lunga gavetta nei locali da ballo che ha in qualche modo fortificato la sua passione per la musica popolare e nel contempo gli studi accademici, la musica classica, poi il jazz, i molteplici riconoscimenti ufficiali. Se dovessimo citare un esempio di eclettismo musicale a tutto tondo credo che Trovesi potrebbe essere la personalità artistica più accreditabile, tra l’altro con un curriculum di oltre un centinaio d’incisioni tra collaborazioni e dischi da titolare. Non da meno è Stefano Montanari, cinquantaquattrenne stimato direttore d’orchestra, diplomato in violino e pianoforte che non ha mai nascosto l’amore per il rock e per le musiche aliene al mondo classico, sebbene sia proprio la dimensione barocca che pare maggiormente affascinarlo e coinvolgerlo. In questo album i due Autori si muovono all’interno di un clima orchestrale sostenuto da undici elementi di cui alcuni fanno parte dell’Accademia Bizantina di Ravenna – i nomi dei singoli musicisti verranno aggiunti a piè pagina. I brani, sia quelli classici sia quelli composti dallo stesso Trovesi insieme a Fulvio Maras che si occupa delle percussioni e degli effetti elettronici, sfumano spesso uno nell’altro, rendendo difficile molte volte comprenderne i limiti naturali. Ma in fondo l’unicum a cui alludeva Montanari nella succitata intervista sta proprio in questo, cioè essere riusciti a creare uno strano ibrido tra generi diversi in cui repertorio classico, improvvisazione jazz ed echi di melodie popolari s’intersecano e si sovrappongono con naturalezza. In parole povere questa musica abita l’oggi, nonostante sia per lo più nata ieri. E non sembra già questa una indubbia stravaganza da prendere in considerazione? Curioso pensare poi che questo disco è rimasto cinque anni nei cassetti ECM, prima di essere pubblicato… I brani che seguiranno non saranno, come avviene di solito, sottoposti ad una lente critica individuale perché, per quanto mi riguarda, non ho competenze per addentrarmi nel mondo complesso della musica classica, essendo di quest’ultima un fruitore solo appassionato ma incolto. Quindi vedremo di ragionare in termini più universali, accontentandoci di annotare lo spirito perfezionista che si sprigiona dall’album e cercando di comprendere ciò che lega insieme le composizioni seguendo non tanto un percorso filologico ma lasciandoci guidare dalla sensazione e dall’emozione della musica.

Brano iniziale è The Witches’ Dance, tratto dall’opera Didone ed Enea di Henry Purcell rappresentata per la prima volta nel 1689 e considerata come assoluto capolavoro del melodramma britannico. Una danza inizialmente dall’andamento quasi marziale che si stempera tuttavia nelle naturali raffinatezze proposte da Purcell, con un delizioso finalino antifonico tra violini e orchestra. Nei crediti si leggono sette strumentisti impegnati, cinque archi più clavicembalo e percussioni, anche se nelle battute finali ho l’impressione di aver raccolto qualche nota di oboe. Quasi senza accorgerci si passa da questo clima profondamente classico alla improvvisazione di Dissolvenze Convergenti, gestita da Trovesi insieme al discretissimo Maras. Dato che le note stampa non riportano notizie di un terzo strumentista, il doppio clarino che si ascolta è sicuramente frutto di una sovraincisione. Giovanni Maria Trabaci, lucano autore seicentesco, è il creatore del susseguente, lentissimo e pregnante Consonanze Stravaganti, eseguito da tutti i cinque archi disponibili arrangiati da Montanari. Naturalmente, quello che per il nostro orecchio odierno non presenta particolari problemi di dissonanza, dobbiamo immaginarcelo quattro secoli prima, quando un brano come questo doveva avere tutt’altro impatto per gli ascoltatori. La prima autentica meraviglia arriva subito dopo con un brano di Trovesi, For a While, che ingloba in un panoramico abbraccio più di un frammento di un’aria originale di Purcell per voce, clavicembalo e viola basso. Tutti i musicisti tranne Maras sono coinvolti a turno in questo brano dove il sax di Trovesi – le note stampa indicano un clarinetto alto ma conservo il dubbio che non lo sia – entra nell’ambito melodico dell’aria originale del compositore inglese, alternandosi a volte con gli altri strumenti, oboi, archi, clavicembalo ma innescando note improvvisate dall’indubbio sapore jazzistico. Sarebbe bastato poco per danneggiare un equilibrio così complesso che all’apparenza poteva rivelarsi precario proprio per l’arditezza dell’operazione. Ma tra le mani di questi musicisti ogni cosa sembra posizionarsi al posto giusto. Da notare la bella trama di sostegno che vede impegnato in modo più presente il clavicembalo dalla metà brano in poi. In definitiva questa traccia è una danza in cui il gioco delle parti, moderne e antiche che siano, s’alternano con grazia assoluta. Segue il Kyrie di Guillaume Dufay, reputato come il più influente compositore europeo della seconda metà del XV secolo. Il brano è eseguito solo dagli archi e sembra un ricercare tipico del tempo, se non fosse che fa parte della Missa L’Homme Armè, una composizione di musica sacra costruita su una canzone profana del 1470 attribuita a Robert Morton. Ciò che segue subito dopo, quasi una replica ironica al brano precedente, è un’altra composizione di Trovesi, L’Ometto Disarmato realizzata con gli arrangiamenti di Corrado Guarino, basata inizialmente su un accompagnamento di tre accordi al clavicembalo in progressione discendente, a distanza di un tono uno dall’altro. Se sono gli oboi a introdurre la melodia, sopravviene in un secondo tempo lo stesso Trovesi, mentre il clavicembalo si fissa ostinatamente su un accordo di Sol minore. Partecipano all’esecuzione, a flussi alterni, più o meno tutti i componenti dell’ensemble. Il brano è melodico e si sviluppa in meditata lentezza per poco più di nove significativi minuti.

La ripresa dell’opera Didone ed Enea si concentra ora sul Lamento di Didone, When I Am Laid in Earth, introdotta dalle note suggestive dell’arciliuto di Ivano Zanenghi. Questo strumento è una derivazione del liuto tradizionale – a sua volta l’evoluzione occidentale dello oud – ma più grosso e con delle corde di bordone gravi in aggiunta. Dice Montanari che “...quando Trovesi suona il Lamento di Didone, lo ritengo più vicino a Purcell di quanto non avvenga rispetto ad un inteprete di canto lirico…” Pur non essendo in grado di confermare o meno questa dichiarazione, resta la notevole interpretazione, commossa e partecipata dello strumentista bergamasco. Ancora in casa Purcell è il brano che segue. La drammatica apertura tipicamente barocca appartiene a The Gordian Knot Unty’d, una composizione in otto parti originariamente scritta per il teatro e ispirata, come suggerisce il titolo, al mito del nodo gordiano reciso – non sciolto! – da Alessandro Magno. Il pezzo, originariamente, era scritto per gli archi ma prevedeva comunque l’intervento di oboi e dei fagotti per raddoppiare le note, rispettivamente quelle alte e basse. Giovanni Battista Buonamente, artista mantovano, fu musicista di corte dei Gonzaga e in questo disco viene proposta la Sonata Decima Sopra Cavalletto Zoppo, estrapolata dal Quarto Libro De Varie Sonate pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1626. Brano che sembra una danza cortigiana ma che si presta a continue variazioni e cambiamenti d’umore, quasi interamente sostenuto dagli archi con la partecipazione del clavicembalo, del liuto e ovviamente di Trovesi che limita il suo intervento ad un breve cameo verso metà brano. Di Andrea Falconieri, cresciuto e vissuto a Napoli tra il ‘500 e il ‘600, Trovesi &C. propongono La Suave Melodia, con gli arrangiamenti di Bruno Tommaso. Bisogna dire che la versione presumibilmente più vicina all’originale, che compare nella parte iniziale della traccia, si presta forse più di altri brani ascoltati in questo disco alle stravaganze, in quanto già prima dell’intervento di Trovesi si ascoltano delle dissonanze d’archi niente affatto scontate per il periodo. Dopo l’intervento dello stesso Trovesi, la traccia s’illumina di una luce del tutto speciale, diventando quasi una versione jazz di quella che potrebbe sembrare persino una bella canzone popolare molto melodica. La voce trasparente dello strumento a fiato, il suo suono dotato di un respiro passionale regalano una fioritura timbrica complessiva di grande effetto suggestivo. È la volta di un breve intermezzo di percussioni e fiati, Karaib’s Berger in cui Trovesi improvvisa su un bordone del suo strumento mandato in loop. Curioso, però a mio parere poco attinente. Si torna alla festa barocca di Henry Purcell con The Thriumphing Dance, sempre estratta dall’opera Didone ed Enea. Aria di danza, quindi, in un tripudio di archi appoggiato ad un canonico ¾ . Composto da Trovesi è invece De Vous Abandonner, con gli arrangiamenti di Corrado Guarino. Il brano è animato da una tensione continua proposta da un sostenuto tremolio d’archi tra i quali percussioni e fiati sovraincisi impostano un’atmosfera orientaleggiante. La traccia è molto visiva, induce a sequenze immaginative quasi cinematografiche ed è ricca di colore. Il finale rivoluziona l’intenzione – o ne svela l’arcano – tramutandosi in una chiosa che torna in pieno spirito barocco. Mille Regretz è opera del fiammingo Josquin Deprez, interamente eseguita dagli archi in un precipitato temporale che esprime al meglio l’anima più raccolta ed intima dell’epoca barocca, piena anche di penombre e amare riflessioni esistenziali. Bellissimo brano, semibuio e fosco. L’ultimo brano, Bergheim, porta il nome di un’antica città muraria alsaziana ma non so se la dedica operata dall’autore, cioè Trovesi stesso, sia conforme alla mia ipotesi. Introdotto da un soave scampanellio e accompagnato dal trillo di un flauto dolce – che però non compare nella cernita strumentale proposta nel booklet – più qualche percussione, tutto va a stemperarsi in una bella ed allegra melodia tra fagotti, clavicembalo e archi pizzicati. La direzione conclusiva mi pare quindi essere un curioso e gradevole miscuglio tra un barocco più tardo, rispetto a quello ascoltato fin d’ora, quasi settecentesco, ed una serie di arie popolari ben amalgamate dall’ensemble orchestrale.

L’album di Trovesi & Montanari è un sontuoso esempio di incroci culturali tra l’antico e il moderno, andando a ricercare quelle composizioni dell’età barocca che più si prestano ad essere integrate con idee e stimoli più attuali. Un’operazione certo rischiosa, sulla carta, perché la trasfigurazione del passato può dare origine, in mani poco consapevoli, ad un risultato dai toni grigiastri. Invece la presenza fuggevole dei delicati arrangiamenti, con la partecipazione emozionale di Trovesi e di tutti i musicisti che l’accompagnano, realizza una visione che ci permette d’immaginare un mondo, una dimensione cronologicamente scomparsa ma culturalmente ancora viva, tanto da sapersi duttilmente amalgamare all’estetica della contemporaneità.

Come promesso, ora, ecco l’elenco di tutti i musicisti coinvolti in questa realizzazione:
Gianluigi Trovesi clarinetti e sax alto
Stefano Montanari primo violino e direzione orchestrale
Stefano Rossi secondo violino
Claudio Andriani viola
Francesco Galligioni violoncello
Luca Bandini contrabbasso
Emiliano Rodolfi primo oboe
Pryska Comploi secondo oboe
Alberto Guerra fagotti
Riccardo Balbinutti percussioni
Ivano Zanenghi arciliuto
Valeria Montanari clavicembalo
Fulvio Maras percussioni, effetti elettronici

Tracklist:
01. Purcell: Dido and Aeneas, Z. 626 – The Witches Dance (Arr. Montanari for Chamber Ensemble) (1:29)
02. Trovesi, Maras: Dissolvenze convergenti (1:03)
03. Trabaci: Consonanze stravaganti (Arr. Montanari for Strings) (3:07)
04. Trovesi: For a While (8:34)
05. Dufay: Missa L’homme armé – Kyrie I (Arr. Montanari for Strings) (1:34)
06. Trovesi: L’ometto disarmato (9:07)
07. Purcell: Dido and Aeneas, Z. 626 – When I Am Laid in Earth (Arr. Trovesi for Chamber Ensemble) (4:11)
08. Purcell: The Gordion Knot Untied, Z. 597 (Arr. Montanari for Chamber Ensemble) (2:34)
09. Buonamente: Sonata No. 10 “Cavaletto zoppo” (Arr. Montanari/Trovesi for Chamber Ensemble) (5:20)
10. Falconieri: La suave melodia (Arr. Tommaso for Chamber Ensemble) (5:33)
11. Trovesi, Maras: Karaib’s Berger (2:37)
12. Purcell: Dido and Aeneas, Z. 626 – The Triumphing Dance (Arr. Montanari for Chamber Ensemble) (1:12)
13. Trovesi: De vous abandoner (5:06)
14. Des Prez: Mille regretz (Arr. Montanari for Strings) (2:15)
15. Trovesi: Berheim (6:02)