R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Il primo aspetto che mi ha coinvolto di questo album è stata la copertina. Mi ha ricordato i dipinti di Josef Albers, il pittore tedesco astrattista che venne più o meno direttamente influenzato da Albert Einstein e dagli studi sulla relatività assoluta riguardanti il nuovo concetto dello “spazio-tempo”. Le forme pittoriche geometriche assumevano con Albers uno slittamento di stabilità, perdendo gli usuali contatti con la dimensione dello spazio, scivolando così non solo verso nuove prospettive ottiche ma creando l’illusione di un’oscillazione temporale, qualcosa che insomma minasse alla base le certezze delle strutture formali fino ad allora accettate. Cosa possiamo invece raccontare della musica che si ascolta in questo lavoro del tastierista Andrea Cappi, Eleven Tokens? Se i Soft Machine, invece di formarsi alla fine dei ’60, si fossero organizzati in questi anni, probabilmente avrebbero suonato come A.C. Multibox, tenendo conto di tutti i cambiamenti – come nel caso dei dipinti di Albers – che certe innovazioni apportano nel mondo della cultura e dell’Arte. L’inserimento di ritmi dub, l’affacciarsi dei campionamenti nu-jazz, una certa tendenza a reiterare le frasi musicali, l’esordire della “fusion” e naturalmente l’evoluzione propria della musica jazz, hanno sicuramente modificato i connotati di quella cangiante forma sonora che veniva chiamata, un tempo molto più che ora, jazz-rock o rock-jazz – invertendo l’ordine degli addendi il risultato non cambia. L’album di A.C. Multibox è talmente pregno di influssi, derivazioni, ricordi, idee rielaborate e naturalmente di jazz moderno – nonché di richiami rock e funky – che pur non brillando di originalità si dimostra essere molto interessante e stimolante, un ottimo esempio di come la musica odierna possa percorrere molte strade contemporaneamente, restando però sempre disposta a riassettarsi e ad adattarsi ai tempi in continua evoluzione. Nonostante Eleven Tokens sia il primo album che veda Cappi come titolare, il musicista emiliano non è un esordiente. Se si escludono, infatti, un paio di passate autoproduzioni, possiamo ascoltarlo in due precedenti lavori sia con i Flown, un trio che fece uscire un disco omonimo nel 2019 dal contenuto più “essenziale” rispetto a Eleven sia con il quartetto Noctua che nel 2020 pubblicò Wrapped in a lush dream, consigliatissimolavoro di cui ricordo la compartecipazione, tra l’altro, degli ottimi interventi vocali di Lucia Dall’Olio.

La formazione di Eleven Tokens, oltre allo stesso Cappi alle tastiere, presenta anche Riccardo Cocetti alla batteria, Stefano Galassi al basso elettrico e soprattutto Emiliano Vernizzi al sax tenore che viene dai Pericopes ma che vanta collaborazioni eterogenee anche con artisti non appartenenti all’area jazz. La musica di questo quartetto punta ad una certa gradevolezza di fruizione anche se le strutture compositive non sono sempre immediate. La tipologia sonora che ne risulta riesce a farsi apprezzare senza sforzo eccessivo, percorrendo un ventaglio di direzioni che vanno da Zawinul a Nick Bartsch passando dagli Steps Ahead e dalla scuola di Canterbury – Hatfield and The North, forse -fino ad arrivare al nu-jazz degli anni ’90 – mi sono tornati alla mente nomi come Jazzanova e St.Germain. Insomma, un percorso dalle origini del jazz-rock dei’70 fino ai nostri giorni, in una costruttiva mescolanza di generi e stili diversi.

Primo brano della raccolta è Blaze. Da subito cogliamo quei punti di riferimento che saranno spesso una costante per questi brani, cioè ritmica frammentata impostata su un serrato intreccio tra basso e batteria, suoni ipnotici della tastiera e sax che si distende con chiarezza cercando un idoneo punto di ebollizione in cui dispiegarsi nelle proprie esplorazioni melodiche. Lungo lo sviluppo di Blaze si partecipa ad uno stato d’animo che vive di sottostanti tensioni alternate a momenti di rilassato abbandono. Un approccio a fuoco lento, quindi, in cui la dialettica strumentale si contiene senza prevaricazioni di un singolo strumento su un altro. Eleven Tolkens inizia con un intrigante “dai e vai” tra tastiera e sax, con un tema in un primo tempo un po’ ispido ma ammorbidito dal clima timbrico che caratterizza il suono di Vernizzi. Secondariamente si entra nell’ambito di una sospensione temporale, una specie di respiro trattenuto in cui apprezziamo l’unisono tra tastiera e sax, che precede l’assolo di Cappi al piano elettrico, molto vicino, secondo me, a certe cose di Mike Ratledge prima del ’73. Anche questo brano, nel suo complesso, si muove in un ambito piuttosto disteso nonostante la difformità ritmica, offrendo bei suoni centellinati con equilibrio e gusto estetico. Human Animal Hybrid dimostra, al di là di tutto, la felice scelta di basso e batteria nel movimentare gli incroci ritmici e nel sovrapporsi creando una solida base di appoggio per le escursioni limpide del sax, molto jazzate, anche un po’ più aggressive in questo frangente. Cappi lavora sulle tastiere organizzando trame su trame e lasciandosi andare verso il finale ad un piccolo temporale di note tirate, prima di chiudere smorzando progressivamente le luci.

Buzzer è un reggae con un tema inizialmente accennato e angolato esposto dal sax che poi si allarga in una melodia più cantabile. Voce declamante sullo sfondo, tra evoluzioni elettroniche e basso dub fino all’esplosione sonora prima della chiusura. Brano ondivago che si muove tra vuoti e pieni ma un po’ debole, a mio parere. Things in Between fa ascoltare note distorte del piano elettrico che si muovono su una sequenza reiterata di quattro accordi di tastiera, nobilitati dall’intervento del sax – dal timbro filtrato elettronicamente – che vola sull’accompagnamento prima di procedere con un assolo smagliante dalla grammatica ambigua – un po’ jazzy, un po’ pop – ma sempre dotato di molta autorevolezza. Batterista focosamente convinto e finale coinvolgente a seguire. Silver Cage è la traccia che apprezzo di più, soprattutto per il tema velatamente shorteriano impostato dalla tastiera prima e dal sax poi, con atmosfere ambigue e leggermente inquietanti. Ottimo l’assolo di Cappi. Quando gli strumenti paiono momentaneamente rarefarsi e distanziarsi gli uni dagli altri c’è modo di sbizzarrirsi per il sax di Vernizzi, vero mattatore di questo brano, forse il pezzo in cui si paga il maggior tributo agli anni ’70.

Elevent Tokens può quindi rappresentare quasi uno zapping mnemonico tra le tendenze e le numerose ibridazioni del jazz e dei suoi derivati riscontrabili in questi ultimi 40-50 anni. Con maggior verosomiglianza, questo spazio di sovrapposizioni stilistiche si muove con Andrea Cappi & C. in un contesto originariamente legato ad atmosfere lounge e che ha poi trovato una collocazione più nobile, dove l’attenzione al jazz è forse più volatile ma la sintesi grammaticale è decisamente attenta ed in linea con la contemporaneità.

Tracklist:
01. Blaze
02. Eleven Tokens
03. Human Animal Hybrid
04. Buzzer
05. Things In Between
06. Silver Cage