R E C E N S I O N E


Recensione di Alberto Calandriello

Dark Matter, o di quando una delle tue band del cuore smette di parlarti.

Ebbene si è successo ed onestamente non pensavo sarebbe successo con loro. Dark Matter, il nuovo recente album dei Pearl Jam, che sto ascoltando con insistenza dal giorno della sua uscita, non mi dice niente. Zero. Ma non nel senso classico, cioè che lo trovo brutto, insipido, no, nessuna valutazione tecnica, ma nel senso che lo ascolto, lo riascolto ed ogni volta che arrivo alla fine mi chiedo: e quindi?

Il mio maniacale e probabilmente poco sano rapporto con la musica ha in questo passaggio un punto fondamentale, una “conditio sine qua non”, soprattutto quando in ballo ci sono artisti con cui sono cresciuto; i Pearl Jam sono il gruppo della “mia” generazione, il gruppo dei miei 20 anni, quelli che ho scoperto in diretta, senza andare a ritroso come ho fatto per altre mie grandi passioni musicali.

Ero “sul pezzo” quando in Italia iniziarono a girare i video di Alive e Even Flow e da allora non li ho più mollati, né ho intenzione di farlo ora. Ma né Dark MatterGigaton mi dicono e mi danno granché. Per me è necessario, più della bellezza (sempre soggettiva) di un disco, che quei pezzi mi parlino direttamente, che si tratti del mio lavoro, della mia vita, di vite altrui che sento condivise, di realtà su cui voglio formarmi un’opinione. La mia idea di Arte, qualunque forma d’arte, è che debba lasciarti qualcosa e cambiarti in qualcosa. Solo restando ai loro pezzi, io lavoro avendo spesso in testa Why go? o Jeremy, penso alla mia famiglia entrando dentro Sirens, valuto le mie scelte politiche ripassando i testi dell’Avocado e rimbomba di frequente dentro di me la domanda: «Sono vivo, ma merito di esserlo?». La musica mi deve “parlare”, altrimenti è sottofondo.

E Dark Matter, come Gigaton, per me sono poco più che sottofondo. Non riesco ad entrarci dentro, non sento di esserne coinvolto, mi scivolano via come aria fresca. Amerò sempre la band di Seattle, sia chiaro, ancora oggi prima di scrivere questo pezzo, ho ascoltato un loro live; ma questi due album, insieme a Earthling di Eddie Vedder, non mi “parlano”. Quanta presunzione può esserci dietro a parole come le mie? Che diritto ho di valutare un’opera sulla base di miei sentimenti, mal di stomaco, arrabbiature, innamoramenti, ideali? Lo so, ma ormai il mio rapporto con le sette note non può prescindere da questo approccio, soprattutto, ripeto, con chi mi ha accompagnato per così tanto tempo.

Ecco, quindi, che i brani di Dark Matter mi sembrano bolsi, telefonati, prevedibili; mi sembrano una versione preconfezionata e freddamente programmata della loro più che trentennale carriera; una sorta di tutorial su come fare un disco dei Pearl Jam. Autocitazionisti e suonati in modo enfatico e pomposo, forse per scelta, con un suono che sembra una esibizione muscolare che mi lascia indifferente. Perfino il criticatissimo (e deboluccio, invero) Backspacer mi aveva preso di più, per freschezza, senso di libertà e voglia di divertimento; il disco pop-punk che i Green Day non saranno mai in grado di fare. Qui invece sento forte il rischio di stereotipi, luoghi comuni, ripetizioni. E diversi testi mi lasciano perplesso, che è la cosa che mi ferisce di più.

Mi ha colpito, in negativo, Running, prevedibilissima, senza spunti ed utilizzata per video e giochetti social che mi creavano un po’ di disagio. Devo ammettere inoltre che per la prima volta da quel giorno estivo del 1992 in cui li scoprii, in Something Special la voce di Eddie, mi infastidisce. Falsa, enfatica, quasi caricaturale. Sembra provenire da quei terribili programmi tv dove la gente si traveste da qualcun altro. Ho dovuto correre a sentirmi Rearviewmirror dal concerto di Milano 2000 per riavermi dallo shock.

Non è un dramma, davvero, leggo commenti decisamente positivi su questo album e la cosa mi fa sinceramente piacere, né ho intenzione di combattere una qualche guerra santa del rock per difendere le mie opinioni. Amo i Pearl Jam da sempre e li amerò per sempre; ritengo semplicemente che al momento i loro pezzi non riescano ad entrarmi dentro come hanno sempre fatto, ma non escludo che la motivazione dipenda da me. Per chi vive la musica dividendola in classifiche e stelline, questo potrebbe essere un passo falso da bocciare con un bel “una stella”, per me è un momento in cui preferisco ascoltare altro, che non è detto che non passi.

Tracklist:

  • Scared of Fear
  • React, Respond
  • Wreckage
  • Dark Matter
  • Won’t Tell
  • Upper Hand
  • Waiting for Stevie
  • Running
  • Something Special
  • Got To Give Setting Sun