Intervista e immagini sonore di Antonio Spanò Greco
Il primo appuntamento di questa personale rubrica che prende lo spunto da una canzone del gruppo rock pesarese Cheap Wine e che vuole raccontare di giovani artisti blues nostrani, tra recensioni e chiacchiere, è dedicato ai Jeasus On A Tortilla che con l’uscita della loro seconda fatica Tonite Is The Night rinsaldano la loro posizione di musicisti dediti alla riproposizione di quel genere, il Chicago Blues, che oltre che essere universalmente noto, ha prodotto una moltitudine di musica difficilmente quantificabile e originato un esercito di fans, musicisti o semplici seguaci.
Loro si contraddistinguono perché ripropongono i classici degli anni ‘40 e ‘50 cercando di imitarne anche il suono, registrando in mono e in presa diretta, scegliendo la stanza adatta, i microfoni e i riverberi giusti; ne risulta un suono quasi ovattato, scarno, essenziale ed evocativo che riporta l’ascoltatore a un passato eseguito e interpreto in maniera attuale e personale. Un lavoro certosino alla continua ricerca di quei brani in cui l’amalgama dei quattro componenti possa funzionare appieno senza che uno strumento prevalga sull’altro come accade nei live dove l’affiatamento tra i componenti del gruppo ha raggiunto livelli eccellenti.
Lorenzo “Mumbles” Albai, armonicista e fondatore del gruppo con il batterista Matteo “Evans” Ferrario, con cui ho scambiato due parole al recente festival blues di Bellinzona, ci racconta delle differenze tra il primo lavoro Gone To Main Street e questo:
“Abbiamo pensato e registrato il primo disco pensando al Chicago Blues, volevamo raccontare il nostro modo di vedere la scena della città nei primi anni ‘50 attraverso i nostri idoli. Abbiamo investito sei mesi di tempo per documentarci e provare a catturare il suono che volevamo. Il secondo disco è stato mettere in quadra tre anni di concerti tra nord Italia, Francia e Svizzera, le recensioni ricevute da quindici paesi del primo disco, il nostro modo di suonare e un bagaglio di ascolto molto più vario”.
La band si completa con il contrabbasso di Massimiliano “Ximi” Chiara e la chitarra del baby della band Kevin “Blind Lemon” Clementi che alla mia naturale domanda di come gli è nata la passione per il blues risponde:
“Sono arrivato al blues naturalmente dal rock, un po’ come fanno tutti, la mia storia non è particolarmente speciale in questo senso. Ero appassionato tra i 14 e i 16 anni del rock anni 60/70 e mi è venuta gradualmente voglia di andare a guardare indietro cosa c’era e da dove derivava la musica che ascoltavo. Il punto però è che ho sempre avuto un approccio che definirei quasi “storico” perché ho sempre cercato di inquadrare il musicista che scoprivo nella sua epoca e nel suo genere, senza considerare quindi il blues e il rock un tutt’uno. Questo si rispecchia anche nel mio modo di suonare penso”.
Mi rivolgo ancora a Kevin chiedendogli di raccontare l’evoluzione che li ha portati a registrare Tonite Is The Night:
“L’evoluzione per me è da vedere da due prospettive. Da una parte, dopo il primo disco, c’è stata una crescita del gruppo a livello di intesa, di gestione dei brani e di intensità, questo grazie soprattutto ai live che abbiamo fatto per presentare Gone To Main Street. Dall’altro abbiamo naturalmente incluso nuovi “sottogeneri” nelle nostre scalette, inclusi i brani Jump e Swing che ora sono molto più presenti rispetto al 2014. La prima prospettiva permette di capire l’introduzione in “Tonite is the night” di brani inediti: sono il risultato di una crescita e di una maturazione personale e di gruppo. La seconda invece permette di capire perché abbiamo in parte, per alcuni brani, “sviato” da Chicago per finire a Memphis o giù di lì”.
Quello che risalta leggendo le note del cd è che quattro brani su dodici sono firmati dal gruppo:
“Poco prima di iniziare la stesura dei brani del secondo disco Greg Izor mi ha omaggiato del suo cd, gli inediti contenuti in quel disco mi hanno fatto pensare a cosa sarebbe stato il nostro lavoro senza inediti. Ne abbiamo parlato insieme e abbiamo deciso di metterci alla prova, per gusto personale “Street Diary” e “Marvellous Swing” sono i più interessanti” risponde così Lorenzo in merito agli inediti mentre Kevin mi dice “Sì li abbiamo composti assieme dopo che uno di noi portava un’idea di stile e/o la linea vocale”.
Il gruppo nasce da un’idea di Lorenzo e Matteo nel 2011: nella formazione inziale vi era una cantante femminile, rimasta con il gruppo all’incirca un anno e mezzo, ma è solo con l’arrivo di Kevin e di Massimiliano che hanno deciso di virare decisamente verso il genere proposto in “Gone to Main Street”, album che ha riscosso parecchi consensi, non solo in Italia. Leggo da una precedente intervista che il nome è nato per caso dall’idea del primo chitarrista della band Gabriele Lunati mentre erano in un pub. Un nome che è subito andato a genio a tutti anche perché non vi appariva la parola blues band e non poteva essere identificato con un genere.
Kevin continua:
“Il disco è stato pensato a priori in questo modo (a livello di suoni ed equipaggiamenti) a differenza dei live dove ci adattiamo alla situazione e alle possibilità. Inoltre ci tengo a precisare che abbiamo voluto fare un lavoro un po’ diverso dal primo disco: se questo si ispirava alle registrazioni live di fine anni ‘40 e inizio anni ‘50, quello nuovo è il risultato della ricerca di un suono Chess un po’ modernizzato (secondo me questo si nota nelle frequenze basse). Il perché della scelta è molto soggettivo, almeno per me: trovo che questo sia il modo giusto (cioè quello che preferisco a livello di gusto personale) in cui devono suonare i brani appartenenti al genere che facciamo”.
Kevin cos’e per te il blues?
“Sinceramente faccio fatica a pensare al blues come ad uno stile di vita o come a un credo mistico come invece spesso viene descritto dai musicisti della scena italiana. Per me è semplicemente un genere musicale ed uno stile tramite cui ho trovato il modo di esprimermi come musicista. Semplicemente mi piace molto e quindi mi piace suonarlo. Ascolto un sacco di generi diversi, dal jazz al pop al rock, ma per quanto riguarda la relazione che ho col mio strumento, il blues è ciò su cui si basa e ciò che mi viene più naturale da suonare. Ho imparato a suonare la chitarra sui dischi blues e ho sviluppato uno stile che dipende tantissimo dal genere che ho suonato”.
Passiamo ora alle domande per così dire un po’ frivole: Lorenzo ascolti altri generi di musica? Cosa ti piace?
“Ascolto abitualmente jazz, hip pop, elettronica, classica e musica popolare e mi piace molto Renato Carosone”.
Altre passioni oltre il blues?
“Apnea, corsa, letture, architettura e le cose belle”. Piatto preferito? Abbinato con quale bevanda? “Direi un piatto di alici fritte con un bicchiere di vermentino”
Il tuo soprannome ti è stato affibbiato o lo hai scelto te? Ti senti così?
“Il soprannome me lo sono scelto, per via di Big Walter Horton ma credo funzioni bene “ha attaccato” subito anche con divertenti storpiature come Mumbai, per carattere a volte sono abbastanza borbottone quindi direi che è piuttosto azzeccato”.
Torniamo alle domande serie, raccontami gli sviluppi futuri del vostro progetto
“Spero presto di cominciare a buttar giù qualche idea per il prossimo disco con gli altri. Mi piacerebbe portare la nostra musica in Europa anche quest’estate magari in qualche festival prestigioso. Vorrei continuare il percorso riguardo agli inediti, penso che il modo che abbiamo di costruirli possa portare a dei risultati interessanti”.
Sogni nel cassetto?
“Vedere una scena blues in Italia con più mezzi e un po’ più di attenzione sia da parte del pubblico che dagli addetti ai lavori, le difficoltà e il campanilismo a volte ci fanno sempre partire con il freno a mano tirato. E sicuramente avere più coraggio, perché sei anni fa quando abbiamo iniziato nessuno credeva che un progetto di Chicago Blues suonato “alla vecchia” potesse avere riscontri positivi, invece la nostra longevità, unita al fatto che negli ultimi due anni le band che hanno un approccio simile in Lombardia sono parecchie, dimostra il contrario. Mi piacerebbe anche vedere più collaborazione trasversale, ad esempio il progetto Nerves and Muscles era una figata ma a Milano e dintorni non mi sembra che abbia fatto scuola (peccato)”.
La maggiore soddisfazione che hai avuto in ambito musicale?
“Gli attestati di stima d’oltreoceano, l’aver realizzato tre dischi, la chiamata di Davide Speranza per la notte dell’armonica di qualche anno fa e la stima dei membri della band”.
E la delusione?
“La scarsa attenzione nei nostri confronti da parte degli organizzatori dei festival del nord Italia”.
Per chiudere i tuoi tre dischi fondamentali e i tre che stai ascoltando in questo periodo:
“Il cofanetto Chess di Little Walter, “No Time For Jive” di George Harmonica Smith e Big Walter con Jimmie Roger e John Hill Louis, “Ridin’ The Darkhorse di Gary Primich, “To Pimp A Butterfly” di Kendrick Lamar e l’ultimo disco di Tomi Leino “Get On down””.
Kevin preferisci il vino o la birra:
“Direi entrambi, a seconda dei momenti”.
Come a Lorenzo chiedo anche a te di citarmi i tre lavori che ti hanno influenzato e i tre che stai ascoltando ultimamente:
“Limitandomi ovviamente al blues, devo citare delle raccolte perché ai tempi non uscivano veri e propri LP. Quindi direi “Blues Hit Big Town”, che è la raccolta dei primissimi brani registrati da Junior Wells negli anni 53/54 (come gruppo aveva gli Aces, e come sideman Muddy, ecc..), “Complete Chess Recordings” di Jimmy Rogers, che è stato il primo chitarrista di cui ho studiato lo stile in maniera accurata, “The Trumpet Singles” che raccoglie le registrazioni per questa etichetta di Sonny Boy II con una band assurda. Riguardo i dischi che mi hanno sorpreso direi “Greasy Kid Stuff” di Kid Ramos insieme a tanti invitati, “Live At Mister Jones” degli Headcutters, una band sud americana molto brava. Ho scoperto infine l’album che racchiude le registrazioni per strada di Nighthawk (di cui fa parte “Down To Eli’s) del 1964, che si chiama “Live In Maxwell Street”. È davvero una bomba”.
Kevin per terminare dimmi qual è il concerto che ricordi più volentieri:
“Per l’intensità del live e il tipo di pubblico direi il concerto alla Hall Blues Club di Lione. È un bellissimo club di appassionati. L’interesse del pubblico ci ha permesso di portare live alcuni brani che in genere sui palchi più grandi o più “caotici” escono meno bene. In più suonando a volumi medio/bassi! Il top insomma. E i gestori del posto di fanno sentire proprio a casa”.
Ho deciso di parlare di “Tonite Is The Night” alla fine perché mi sembra giusto far parlare i diretti interessati e scoprire dalle loro parole quanto impegno, passione, fatica e dedizione riversano nella musica che li unisce. Devo essere sincero, delle otto cover che insieme a i quattro originali compongono la loro ultima fatica, mi sono andato ad ascoltare gli originali e le versioni dei Jesus non sfigurano, anzi danno nuova luce e linfa al genere, casomai ne avesse bisogno, cosi come gli originali non sfigurano accanto a “BB Boogie” e “Bye Bye Baby” del grande e unico BB King, o alla mie preferite “I Was Fooled” di Billy Boy Arnold e “Cool Cool Blues” di Sonny Boy Williamson II, “Six Three O” di Robert Nighthawk, “I’m Living You” del mitico Howlin’ Wolf. Chiudono i quasi quaranta minuti dell‘ultima fatica dei Jesus la canzone di Jimmy Rogers “If It Ain’t Me” e “Flying Saucer” di Little Walter. Un passo in avanti, una conferma di una bella e convincente realtà perché dal vivo questi quattro ragazzi sanno veramente il fatto loro. Consigliato a tutti, sia a chi ama il genere sia a chi non lo conosce ma vuole andare a scoprire da dove arriva il blues e la musica di oggi.
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