Le contiamo sulla punta delle dita: 5 domande ai nostri artisti, il tempo di batter 5 et voilà, in 5 minuti le risposte.

I N T E R V I S T A


Articolo di E. Joshin Galani

Vi invito ad ascoltare assolutamente l’artista ospite del Batti 5 di oggi, Battista.
A febbraio è uscito il suo primo singolo – Tossico – un temporale che ti coglie senza ombrello, accompagnato da un forte vento che nelle orecchie racconta verità sferzanti. A marzo arriva il sole di primavera con il secondo singolo – M’innamoro; ci accoglie, ci scalda, ma ci mostra nubi neri all’orizzonte. Abbiamo scambiato quattro chiacchere in attesa dell’album Fame Nera che uscirà a maggio.

A febbraio  è esploso il tuo primo singolo, Tossico. Un flusso di parole schiette, dirette, aspettative disattese in chiave acida, con la noia “troia maculata” come fulmine persistente in questa sorta di grandinata di poco più di due minuti. Com’è nata?
Non c’è stato un momento preciso a cui posso riferirmi riguardo la nascita di questa canzone. Posso dire che è il frutto di vari pensieri elaborati in un periodo di tempo piuttosto lungo. Tossico per me è uno di quei testi che definirei “Matrioska”: rimandano ad immagini che potrebbero risultare sconnesse tra loro, ma in realtà sono tutte collegate ed esprimono concetti che si inglobano o catturano a vicenda. Spesso con ciò che scrivo mi piace porre domande anziché offrire risposte. Le domande in questo brano dovrebbero scaturire dopo le frasi avventate enunciate in prima persona da un immaginario protagonista e rivolte a un genitore, un amico, una folla o nessuno in particolare. Pensieri che esprimono rabbia, sconforto, delusione, impotenza o sentimenti che scaturiscono dalla consapevolezza di non avere mai nulla sotto controllo. Il tono è quello di un ragazzo capriccioso che se la prende con la madre perché quello che lei stessa gli aveva promesso non si è avverato. Penso sia una scena che rappresenti in qualche modo il rapporto della mia generazione con quella che l’ha generata e non è colpa di nessuno. Al di là dei conflitti generazionali, prima il periodo della pandemia e ora la guerra in atto non fanno che martellare sugli interrogativi. Chi è l’individuo? Cos’è la società? Non mi sembrano netti i confini. Siamo davvero responsabili delle nostre azioni? Abbiamo davvero possibilità di scelta? A tutto questo fanno da sfondo la noia da riempire con una dose, un futuro sempre incerto che nemmeno le paranoie (lecite o meno) sulle quali ci hanno detto di scommettere potranno spazzare via. Non è facile accettare questa condizione ma pare sia la regola che permane attraverso i secoli, senza vittime né carnefici.

Il tuo secondo singolo M’innamoro cambia completamente registro rispetto a Tossico. È cantata (splendidamente) e non raccontata, ha una base di classica canzone pop, delicata, che strada facendo perde il suo candore, virando verso la distorsione. Sembra sottolineare le “cose rotte”  che citi nel testo, come destino ineluttabile della trasformazione di ogni cosa. Che rapporto hai con i mutamenti?
Penso di essere per certi versi una persona abbastanza drastica. Ci sono dei luoghi della mia vita in cui non so stare se non con l’abitudine, che ritengo fondamentale. In altri luoghi invece il mutamento è carattere fondante del mio agire e non potrei vivere altrimenti. Spesso mi sforzo di vedermi da fuori: per esempio quando faccio arte noto un’attitudine quasi schizofrenica, caratterizzata da frasi (anche musicali) brusche alternate a momenti dolci, tutto contornato quindi da un elemento di imprevedibilità. Forse una delle verità è che senza mutamenti non so stare.

Parafrasando Whitman “l’uomo contiene moltitudini”. Quali sono le tue?
Penso che in me l’arte e la vita coincidano non per scelta ma per attitudine. In altre parole non riuscirei a esprimermi fuggendo completamente da ciò che sono, inventando un mondo che non mi rispecchia e non riesco ad abbracciare: cerco di essere così nella vita “reale” (reale è anche l’arte). Altro problema è quello di riuscire ad essere sinceri con sé stessi e questo potrebbe far crollare tutto ciò che ho detto  poco prima. Per indole cerco di mettermi sempre in discussione ma non mi astengo dal mettermi in gioco. Non mi sento a mio agio ad affermare idee assolute né ad aver ragione. Rifuggo il giudizio e lo ritengo perlopiù inopportuno. Non ho risposte (almeno attualmente) e percepisco il caos, cerco di rimanere in piedi ma se trovo una sicurezza provo a distruggerla. Queste sono alcune delle mie moltitudini.

Nel tuo modo di comporre una canzone, qual è il motore più forte:  l’inquietudine, l’osservazione del mondo, le riflessioni, le emozioni?
Quelli che hai elencato sono tutti aspetti che potrei chiamare in causa. L’inquietudine può derivare dall’osservazione di sé stessi o del mondo (che alla fine è sempre rappresentato dal nostro punto di vista) e la ritengo un sentimento base, sublime e meraviglioso. L’inquietudine però se non veicolata può farci cadere. L’arte è veicolo di queste sensazioni e finora ha sempre funzionato. Anche per questo sento di dire che per me arte e vita coincidono. Possiamo fotografare il caos per rendere spettacolare la pena, quasi da poterla apprezzare e condividere con gli altri. Se davvero non riusciamo a concepire il senso a priori della nostra esistenza, con l’arte riusciamo a crearlo.

Ho molta curiosità sull’album, cosa dobbiamo aspettarci?
Il sound è abbastanza omogeneo. Tutti i brani sono stati registrati seguendo la stessa formazione di strumenti (Voce, chitarre, basso e batteria, eccetto qualche particolare). Le canzoni sono dieci e spaziano tra i toni più acidi di Tossico e le melodie più dolci ma pur sempre distorte di M’innamoro, non a caso li ho scelti come singoli. Il terzo ed ultimo singolo sarà Mangiala e conferirà ulteriore senso alle caratteristiche generali della raccolta. L’album si intitola La fame nera. Mi piaceva l’idea di giocare con i vari significati delle parole. In questo caso il termine “fame” possiamo attribuirlo a ciò che dà vita all’arte: la voglia di comunicare, l’esigenza di vomitare i sentimenti (che siano di noia, piacere o dolore) e la pura esigenza di farlo che li accomuna. Ci ritroviamo in un’esistenza che non abbiamo scelto e di cui nulla sappiamo: l’arte è un modo per navigarla, esserne sopraffatti, soccombere ad essa o vincerla (ammesso che ci sia un modo di vincere o perdere). Si può dire che uno dei motivi per i quali questo album esiste è proprio la fame; l’aggettivo “nera” ne rafforza il significato, rendendo bene il carattere profondo e totalizzante che la fame ha su chi la indossa. La fame può essere anche assenza, vuoto culturale ed emotivo oltre che fisico. Il significato della parola fame è vario (come ho detto prima) e sarà in continua elaborazione.

Foto © Val Monteleone – Gaiden Studio