R E C E N S I O N E


Recensione di Alessandro Tacconi

Kimeia è un progetto di giovani musicisti under 30 che affrontano autori del calibro di Duke Ellington, Bobby Timmons, Hugh Masekela.
Il nome del gruppo, Kimeia, deriva dal greco e significa amalgama, lega, materiale che viene prodotto miscelando elementi eterogenei. E che cosa c’è meglio del jazz?
Alessia Marcassoli, vocalist del gruppo, spiega che la scelta dei brani ha a che fare con la libertà individuale, i diritti civili e quelli negati. Words for freedom è quindi un progetto molto ambizioso che non teme confronti con alcune pietre miliari della storia del jazz. Negli anni Cinquanta e Sessanta cantanti del calibro di Nina Simone, Billie Holiday, Sarah Vaughan, Miriam Makeba hanno affrontato il potere dispotico per dare voce a chi subiva le angherie del potere WASP americano o razzista sudafricano.
I giovani musicisti si sono rimboccati le maniche e hanno riarrangiato brani come Moanin’, Four Women, Soweto Blues, Work Song, Strange fruit lavorando di fino e gran gusto, nel solco di un certo jazz contemporaneo che guarda alla lezione dell’hard bop.

Dove questo album diventa più interessante? Senz’altro quando gli standard servono da trampolino per mostrare la propria direzione. Work Song, ad esempio, rinuncia al groove della versione originaria di Nat Adderley, per creare una sospensione, che si scioglie nella seconda parte con l’assolo di sax di Marco Scotti (sax alto) e Marco Gotti (sax tenore).
Ma poi c’è Strange Fruit. Già: quei maledetti frutti scuri che pendono dagli alberi nel sud degli Stati Uniti. Una poesia di Lewis Allen, pubblicata nel 1937 e subito messa all’indice. Lady Day (Billie Holiday) la rese immortale e, a causa di questa interpretazione, quante ne passò! La vicenda è ben narrata nel film del 2021 Gli Stati Uniti contro Billie Holiday con la regia di Lee Daniels, in cui la cantante Andra Day veste in modo mirabile i panni della signora del blues. Raccomandiamo sia ai Kimeia che ai nostri lettori la sua versione di questo classico della cultura afroamericana. L’arrangiamento paralizza l’ascoltatore in un drammatico ascolto: una rocking chair cigola sul porticato di una catapecchia lungo il ciglio della strada. A pochi metri di distanza sentiamo le corde “cigolare” a causa del peso che sopportano: uomini (di colore) appesi lassù dai razzisti bianchi del KKK (Ku Klux Klan). Kimeia ci propone un arrangiamento drammatico con sferzate percussive che ci conducono imperturbabili ai piedi di quegli strani frutti.

Un altro interessante episodio di Words for freedom è Soweto Blues, celebre brano del trombettista Hugh Masekela, espatriato dal Sudafrica a causa dell’apartheid negli anni Sessanta. Tanti altri musicisti trovarono riparo all’estero in quella diaspora, per noi fortunosa, che portò alle nostre orecchiose latitudini artisti del calibro di Dollar Brand, Dudu Pukwana e Miriam Makeba. Fu lei a interpretare a lungo questo brano dal vivo e su album. Le percussioni di Lorenzo Beltrami, il basso di Chiara Arnoldi e il pianoforte di Alex Crocetta regalano da subito un bel groove al brano.

Da uomo di teatro, e appassionato ascoltatore di jazz, so che ogni storia deve trovare il “proprio” modo di essere raccontata e non può essere il contrario. Non basta una bella forma, soprattutto se vi sono dei precedenti tanto illustri. Il contenuto condiziona il modo in cui lo si esprime e non si dovrebbe prescindere da esso, soprattutto se si vogliono trattare argomenti così attuali (si vedano i recenti scontri in Francia, mentre l’Italia sonnecchia sempre saporitamente su certe questioni). Occorre affilare il proprio sdegno contro il potere che è sempre arrogante. È necessario ossificare le parti molli del proprio animo perché nessuno si arroghi più il diritto di dirci: “Questo lo puoi fare… fin qui puoi andare… devi tornare a casa entro le…”.  

Tracklist:
01. Four Women
02. Work Song
03. I Wish I Knew How
04. Moanin’
05. Strange Fruit
06. Come Sunday
07. Lost In The Stars
08. Soweto Blues