L I V E – R E P O R T


Articolo di Nicola Barin, immagini sonore © Gabriele Lugli

La rassegna You must believe in Spring dell’associazione 4’33” di Matteo Gabutti entra nel vivo. Presentato da poco il programma che si offre quanto mai ghiotto con alcuni nomi da non perdere: Roscoe Mitchell, Gabriele Mitelli, Steve Lehman, Zoh Amba, Maria Grand-Marta Sanchez. Una selezione di artisti tra i più interessanti e sperimentali della scena italiana e internazionale. La trombettista Canadese Lina Allemano è una delle più accattivanti improvvisatrici d’oltreoceano, si presenta a Mantova con il suo quartetto: Brodie West al sax contralto Andrew Downing al contrabbasso e Nick Fraser alla batteria.

Le coordinate sono presto dettate, si parte in maniera esplosiva con un combo senza il piano che lo rende maggiormente libero dal punto di vista armonico. I flussi narrativi si manifestano con una libertà inventiva degna di nota, i dialoghi tra i componenti diventano fitti e il rapporto tra sassofono e tromba si infittisce. Da ricordare l’apporto del batterista, Nick Fraser, tra i più quotati e famosi, ricordiamo le collaborazioni con, tra gli altri, Michael Moore, Donny McCaslin, Marilyn Crispell, Anthony Braxton, William Parker, Jean-Luc Ponty, Bela Fleck, Dave Liebman, Joe Lovano, John Scofield, Wynton Marsalis, David Binney.

James Brandon Lewis si presenta con il suo quartetto, Aruán Ortiz al piano, Brad Jones al contrabbasso e Chad Taylor alla batteria, proponendo l’ultima fatica, Transfiguration, recente uscita per l’etichetta Intakt Records. Il sassofonista americano è senza alcun dubbio una delle voci, in assoluto, più originali del panorama jazzistico contemporaneo. Ciò che lo rende tale non è solo l’ingordigia musicale, che lo vede introdurre nei suoi progetti spunti e suggestioni che provengono dalla musica rock e pop, ma l’attenzione per il timbro del suo strumento. Si potrebbe dire che è un suono importante, vigoroso dotato di ampie sfaccettature, ricco e pieno di armonici. Il quartetto dell’artista di Buffalo sembra aver trovato un’alchimia perfetta.

Se si ascolta Resonance emergono le incredibili doti di Lewis: un timbro accorato e travolgente, che si sposta con agilità tra melodismo e ricerca forsennata, capace di erigere costruzioni complesse e impellenti, dotate di una freschezza espositiva devastante. Ortiz esprime tutta la sua incontenibile forza improvvisativa e Taylor incalza con una fantasia e un vigore nel drumming pressoché unici. Non sembrano mai finire le evoluzioni di questo quartetto cosi concentrato a far fluire una improvvisazione spontanea e naturale che unisce, in parte, un carattere di urgenza e dall’altra una scrittura estemporanea decisa. Con un piede nel passato e uno pienamente fermo nelle contemporaneità Lewis tenta una strada del tutto nuova unendo rispetto verso il tempo andato e la consapevolezza e la capacità di esprimere tutte le sottigliezze del presente.