R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

In una video intervista che circola su YouTube, il pianista barese trentasettenne Bruno Montrone afferma candidamente di essere stato colpito già in età giovanile dal morbo del jazz. Questa patologia deve far parte certamente di quel raro gruppo di malattie che guariscono, anziché ammalare, pur condizionando per sempre la vita di un individuo. E quindi siamo ben felici che un musicista come Montrone sia stato travolto da questa affezione perché, se il risultato è un album come Unaware Beauty, potremmo tranquillamente aspettarci in futuro nuove, intriganti sorprese. Precisiamo che il lavoro di cui ci accingiamo a scrivere è l’esordio discografico dello stesso Montrone in veste di titolare. Ancora una volta la Puglia, sicuramente per merito di qualche ingrediente dietetico misterioso, si dimostra terra di musicisti, forse la più prolifica d’Italia. Ma anche regione di ormai storiche etichette discografiche tra le quali Dodicilune o, in questo caso specifico, A.Ma Records, vere e proprie benefattrici culturali per quello che riguarda la diffusione della musica e in modo particolare del jazz. Montrone ha studiato e si è diplomato al conservatorio Piccinni di Bari. Leggo tra le sue note biografiche alcune collaborazioni con importanti nomi italiani – Piero Odorici, Max Ionata, Fabrizio Bosso, Gianni Basso, Enrico Rava e molti altri – e anche con artisti stranieri di rilievo. In più, il pianista pugliese deve aver avuto anche un buon fiuto nello scegliere i propri collaboratori realizzando il suo album.

Vedo infatti, tra questi, due nomi che hanno attratto il mio interesse in modo particolare. Alla batteria c’è Joe Farnsworth – già allievo di Harold Mabern autore del primo brano proposto in scaletta di Unaware Beauty, che prima di diventare pianista aveva studiato la batteriaautentico mito americano delle percussioni, tra le cui collaborazioni spiccano quelle con Jon Hendricks, George Coleman, Benny Green, Benny Golson, Eric Alexander, McCoy Tyner, Diana Krall, Pharoah Sanders e altri ancora. Al sax contralto c’è invece una delle due sassofoniste attualmente tra le mie preferite nell’ambito newyorkese, cioè Sarah Hanahan – l’altra è Lakecia Benjamin – che ho appena ascoltato in un ottimo album di modern mainstream come quello di Ulysses Owens Jr, A New Beat. Gli altri compagni d’avventura sono il contrabbassista Giulio Scianatico, attualmente in tournée con Roberto Gatto Perfect Trio e la cantante Serena Grittani, già con Montrone, Venezia e Scasciamacchia nel Serena Grittani Quartet. Mi stupisce il titolo di questo album. Ho l’impressione che la Bellezza di cui si parla sia tutt’altro che inconsapevole, come suggerirebbe il titolo dell’album, dato l’elevato livello professionale dei musicisti e la concentrazione che ci mettono per ottenere un risultato ben strutturato come questo. Innanzitutto il ventaglio di brani proposti si distribuisce tra composizioni originali dello stesso Montrone e qualche cover, ma l’eterogeneità del modus operandi dell’Autore ci porta attraverso il macrocosmo post-modernista del jazz attuale, tra hard be-bop, swing, ballads, momenti free e ritmi latini, insomma muovendosi agilmente tra il dipolo della tradizione e della contemporaneità, seguendo comunque una strada idealmente più vicina alla matrice statunitense afro-americana che non a quella più europea. Nella preparazione di Montrone si avverte il lungo contatto con i fraseggi serrati nello stile degli hard-bopper americani e la sua padronanza sintattica di quei linguaggi iconici. Potrei a questo proposito azzardarmi a definire un’area d’influenze pianistiche che grosso modo includa l’Hancock pre funky, lo stesso Mabern, Horace Silver e Oscar Peterson. Ma a dire il vero va sottolineata l’elevata capacità tecnica, sicuramente anti-minimalista, che l’Autore evidenzia spontaneamente, altalenandosi tra brani più taglienti ad alta propulsione dinamica ed altri più morbidi, dove si mostra la sua capacità di agire anche sul velluto, lavorando maggiormente nelle combinazioni armoniche e nel tocco, piuttosto che non sulla velocità d’esecuzione. La sonorità complessiva espressa dalla band di Montrone si mantiene sempre in forte propulsione energetica, quindi piuttosto vigorosa e con numerosi cambi tonali ma sa adattarsi alle versioni più notturne delle ballad, quindi capace anche di agire sul pedale del freno, all’occorrenza.

Il brano di apertura è una cover del già citato Harold Mabern, cioè Edward Lee, dedicato al trombettista Lee Morgan. L’irresistibile intro di piano viene ben presto riempito dal sax tematico e aspro della Hanahan che anima, spremendosi senza riserve, l’intenso spazio ritmico condotto dalla coppia Farnsworth-Scianatico. Il lungo assolo della sassofonista è eccezionale, non concede respiro almeno fino a metà brano dove sale in cattedra il pianismo veloce e pulito di Montrone in pieno stile da hard-bopper. Qualche stacco di batteria e un piccolo assolo della stessa, tanto per far capire con che percussionista si ha a che fare. Si riprende ovviamente col tema che porta al brillante finale. Che dire? Un impatto veramente travolgente, un bel pugno al plesso solare come biglietto da visita e si passa al secondo brano, Riflessiva. Si va in direzione latina, con un profilo che mi ha ricordato Nicola Conte con il suo nu-jazz e il recupero delle tematiche jazzistiche della seconda metà degli anni ’60 in stile sudamericano. Il pianoforte regna qui incontrastato, con i classici accordi in sus4 che vengono inglobati in costruzioni armoniche più complesse, dove si sottolinea la scorrevolezza solistica del pianista, il suo senso di libertà e la capacità di non forzare la mano, offrendo un senso unitario alle frammentazioni ritmiche operate sulla tastiera. Contrabbasso e batteria accompagnano diligentemente senza mai strafare. La title-track Unaware Beauty è un ¾ esposto con delicatezza, dall’impostazione melodica e swingante, inizialmente tracciata da una voce maschile – forse quella di Montrone – presto seguita dal canto levigato e senza parole della Grittani. Il piano svolge le sue ricche armonie con quel senso, già rilevato in precedenza, di scorrevole spontaneità che si mantiene tale anche nelle scale di note accelerate. Un assolo di contrabbasso, sobrio ed essenziale, precede il ritorno vocale della cantante, con la batteria che dimostra segni d’impazienza aumentando la propria dinamica e rollando con energia fino alle battute finali.

The Hodgepodge sembra un brano alla Oscar Peterson, un elegante profluvio di note be-bop risolto nei classici termini del trio piano-contrabbasso-batteria dove il valore di brillantezza e competenza tecnica di Montrone tocca uno dei suoi massimi. L’inquieto set di tamburi percossi da Farnsworth sembra assomigliare a quello di Art Blackey, mosso da una elettricità sotterranea che si traduce in una punteggiatura nervosa e in una serie di stacchi perentori a interrompere il soliloquio del piano. Passando ad un classico standard di Rodgers & Hart del 1936, Where or When, si entra in un’altra dimensione, molto più raccolta e pacificata. Una romantica american song tratta dal musical Babes in Arms molto ben interpretata dalla Grittani che dimostra uno spettro timbrico assai interessante, senza riverberi aggiunti, giocato maggiormente su toni medio bassi carezzevoli e inizialmente solo accompagnata dal pianoforte. Entra la ritmica e il rado accompagnamento evoca atmosfere da mezzanotte e dintorni, con un contrabbasso che avvolge la performance in un intimo gloom di voluttuose e avvolgenti sonorità. La traccia che segue, Phrygian Sound Connotation, è una composizione del chitarrista barese Guido di Leone, nome luminoso del jazz italiano, che qui viene affidata in buona parte al sax della Hananah. Come avevo già notato nell’album di Owens, in diversi momenti questa strumentista si pone sulla scia di Coltrane con alcuni fraseggi di note prolungate, ostinate e condotte al limite della tonalità d’impianto. Dopo un primo passaggio iniziale, intervallato dall’intermezzo di Montrone, il sax contralto si riaffaccia, sfiorando la dimensione del free in un clima sempre più teso e febbrile, offrendoci un’ardita scalata verso le note più alte raggiungibili. Dopo questo il suono plana verso dimensioni più tranquille, sorretto dal contrabbasso e dagli intervalli di quinta in sincrono col piano che scansionano le parti finali del brano. Torniamo alle composizioni di Montrone con Wide Awake, un valzer spedito che riconnette il clima incendiario del brano precedente a dimensioni più quiete. Ritorna la rigorosa formula triadica, con il piano grande protagonista in pole position ma in questa circostanza, più che a una frenetica tensione da bopper, l’Autore preferisce una loquacità improvvisativa più addolcita, dai margini sfumati, con accordi chiari a permettere una sinergia fluida e meno turbolenta con gli altri due strumentisti. With Malice Toward None è un brano di Tom McIntosh che è stato un famoso trombonista americano. Di questo brano ho memoria di una versione con parterre stellare – che si recupera facilmente in streaming – in cui accanto allo stesso McIntosh, figuravano Benny Golson, Kenny Barron, James Moody, Stefon Harris, Jimmy Owens e Richard Davis. Montrone ne conserva il ritmo di moderato swing, interpretando per forza di cose anche le parti originariamente dei fiati. Con uno stile che ricorda il primo Bill Evans, suffragato dall’ottimo, sempre discreto contrabbasso di Scianatico, ci si immerge in un clima collaudato ma talmente ben suonato che risulta molto godibile, nonostante l’atmosfera un po’ retrò garantita anche dal brushing delicato del batterista. Chiude Bau Blues in fluttuante leggerezza e con assolo finale, doveroso e meritato, da parte di Farnsworth che prelude alla riproposizione finale del tema.

Nonostante i dovuti riferimenti al jazz classico, così come lo abbiamo conosciuto negli anni passati, la proposta di Montrone è tanto convincente che va oltre la considerazione del suo spiccato talento. L’insieme così ottenuto si avvale di un sovrasignificato contemporaneo che rimarca il valore dei Maestri di sempre ma proiettandolo ai giorni nostri, se vogliamo raffreddando leggermente la rovente frenesia hard bebop e rivestendola di un sentire elegantemente più contemporaneo.

Tracklist:
01. Edward Lee (8:50)
02. Riflessiva (6:39)
03. Unaware Beauty (6:42)
04. The Hodgepodge (4:54)
05. Where Or When (5:27)
06. Phrygian Sound Connotation (8:09)
07. Wide Awake (5:15)
08. With Malice Toward None (7:24)
09. Bau Blues (4:51)