A P P U N T I D A N O V A R A J A Z Z
Articolo di Mario Grella
Il “focus” sulla Francia di NovaraJazz è ripreso ieri sera con il Workshop de Lyon + Trio Impro + L’Effet Vapeur. Vediamo di fare un po’ di ordine: si tratta di tre formazioni musicali diverse che questa sera hanno scombussolato una tiepida sera d’estate di provincia.
Il Workshop de Lyon, con Jean-Paul Autin al sax e clarinetto basso, Jean Bolcato al contrabbasso, Christian Rollet alla batteria e Clément Gibert al sax e clarinetto, è composto da quattro musicisti “agé”, ma che hanno l’energia di quattro ventenni e che in pochi minuti fanno venir meno tutte le nostre certezze e anche le nostre incertezze musicali. Del resto basta dare un’occhiata al sito internet dell’ARFI, Assocation à la recherche d’un Folklore Imaginaire per rendersi conto di che cosa stiamo parlando, anzi che cosa stiamo sentendo.
Ma cos’è esattamente un folklore immaginario? E’ un cascame di suoni, di ritmi, di suggestioni, che vanno a formare “la cosa” che abbiamo ascoltato questa sera. Avendo avuto parenti napoletani, ricordo una vecchia zia che quando cucinava una pasta e fagioli, lo faceva con una “munnezzaglia”, cioè con tutti gli avanzi di vari tipi e formati di pasta, ecco quella ascoltata questa sera è una “munnezzaglia musicale” (forse dovrei dire “ratatouille”), un grumo, un insieme, la cui elegante somma è, però, di più dell’insieme delle parti. Ma non basta.
Per rincarare la dose il Trio Impro, formato anch’esso da alcuni musicisti de La Marmite Infernale che si esibirà nella serata di sabato, ha pensato bene di mettere a dura prova le concezioni estetiche dei poveri novaresi, gente di buon senso e poco incline alle avventure. Ci hanno pensato loro, Guy Villerd per il quale il sax, benché non sia come una clava da dare sulla testa a qualcuno, certo non è quello di Fausto Papetti, Christof Gauvert, al basso come improvvisatore non improvvisato e Christian Rollet che oltre alla batteria sembra suonare anche sé stesso. Se avete un’idea del jazz, cancellatela, se pensate di farvene una ascoltandoli, non illudetevi. Il processo creativo è continuo, volutamente disarticolato che non pone limiti tra i generi e ,nello stesso tempo, ne crea uno tutto particolare.
Ma a dare il colpo di grazia alle certezze del pubblico è la caleidoscopica performance finale de L’Effet Vapeur. Klezmer ne abbiamo? Si, allora mettiamocelo! Musica da circo? Ma si! Bande di paese? Perché no! Oggettistica? Pure quella! Magari persino un po’ di David Sylvian. E come Gargamella, anche loro cavano dal loro calderone una pozione magica di un jazz che sa di Francia, magari non quella dei gilet gialli, ma nemmeno quella della “caves” di St. Germain-des-Prés, magari quella scanzonata delle pagine di Charlie Hebdo o dei vagabondaggi della piccola Zazie. Concerto sopraffino.
Crediti immagini: Emanuele Meschini
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