A P P U N T I  D A  N O V A R A J A Z Z


Articolo di Mario Grella

Stare qui all’Opificio ad ascoltare Johnny Lapio, in una delle sere del Festival di Sanremo, dà la sensazione di stare su una barricata del Boul’ Mich nel maggio del 1968. Johnny Lapio è una persona amabile con cui è bello conversare perché è un musicista di grande spessore, un musicista per cui la musica va oltre lo strumento. Animatore culturale di AR.CO.TE (Atelier delle arti contemporanee e terapeutiche) a Torino, la musica per lui è qualcosa di più di una forma d’arte, è, e può essere anche una terapia, un modo di stare nel mondo, di costruire ponti e abbattere muri. Ma di questo ho già parlato altre volte e allora ascoltiamo questo magnifico quintetto formato da Francesco Partipilo al sax alto, Emanuele Francesconi al piano, Michele Anelli al basso, Davide Bono alla batteria e Johnny Lapio alla tromba.

“Anthrosophie”, composta in occasione dei cinquanta anni di attività dell’Art Ensemble of Chicago, uno dei punti di riferimento della quintetto torinese, è una suite dalla quale questa sera Johnny Lapio estrae un ampio brano. E qui il sound di Chicago c’è tutto, con qualche strizzata d’occhio a Bernstein, come dice Johnny.
Grande affiatamento, suono deciso, tromba e sax che si completano, in un groove, declinato con le variazioni più spericolate.
Johnny Lapio ha anche una notevole capacità affabulatrice e così lega un pezzo ad un altro, con aneddoti e brevi introduzioni che non guastano affatto. E così ecco il racconto della genesi di “Supermarket”, nata dalla suggestione data da quei fari nella notte che sono i minimarket, gestiti da cittadini del Bangladesh, sempre aperti sul “Lungodora” a Torino; magnifico e vitalistico pezzo, seguito da una ballata di grande energia, intinta nel succo gustoso della ricerca, si tratta di “Strange Ballad” con un attacco che richiama la splendida colonna sonora di “Eyes Wide Shut” di Kubrik. E poi ancora una raffica di danze poco ballabili, ma molto godibili come  “Danza impopolare” e, d’obbligo anche per esorcizzare la paura di queste settimane, ecco “Pechino Dance” che sa di jazz e profuma di world music, con uno stordente e magnifico assolo del sax di Francesco Partipilo. Chiude “le danze” (ovviamente), “Se ben che va”, dal gergo torinese, ma dal respiro internazionale. Uno dei concerti più entusiasmanti di “Taste of Jazz” di questa stagione. Bello stare sulla barricata del jazz in questi tempi di stantio conformismo: da quassù si vede la luce…

Photo credit: Mario Grella