L I V E – R E P O R T


Articolo e immagini sonore di Stefania D’Egidio

Credo che una bolgia così non si sia vista mai al Conservatorio Verdi di Milano e, del resto, la serata è di quelle destinate a entrare nella storia, lo si capisce dalla grande affluenza di spettatori e dal tipo di utenza, non solo giovani e meno giovani, che la nascita del rap l’hanno vissuta in prima linea, ma anche grandi nomi del panorama radiofonico e dello spettacolo, da Linus a Luca De Gennaro, da Massimo Oldani fino alla bellissima Elodie. Non capita tutti i giorni di poter assistere alla performance di una leggenda vivente come Grandmaster Flash, io stessa lo inseguo da tempo, ma le volte precedenti si era sempre esibito lontano da Milano. Cosa posso dire di un personaggio così senza cadere nella retorica? Ci pensa lui stesso, all’inizio dello show, a ricordarci che, in un tempo neanche troppo lontano, quando non esistevano gli mp3, Serato Dj, i social e i computer, la musica veniva suonata con i dischi e, sullo sfondo, passano delle bellissime immagini del Bronx dei primi anni ’80, quando le feste venivano improvvisate rubando la corrente elettrica dalle colonnine per strada e la musica bastava per far ballare tutti e per far dimenticare, anche solo per pochi attimi, i problemi di un’intera comunità, quella afroamericana.

Era partito da lontano Joseph Saddler, trasferitosi da Bridgetown, Barbados, nella Grande Mela per inseguire un sogno, come tanti altri ragazzi dell’epoca, certo mai avrebbe immaginato che sarebbe entrato nel mito come l’inventore di un nuovo genere musicale. Un vero pioniere, capace di dare vita alla tecnica dello scratching e del needle drop, imprimendo un semplice segno con una matita a cera sul vinile e appoggiando la puntina del giradischi esattamente all’inizio di un break, abilissimo nel manipolare i suoni presi dall’immenso repertorio della musica soul, da Aretha Franklin a James Brown, dando vita a molti dei più iconici beat ancora oggi campionati. Non a caso si guadagna il soprannome di Grandmaster Flash, perché lui con le mani è davvero un fulmine! Con un diploma da elettricista, intuisce per primo che i mixer in circolazione necessitano di due piccole modifiche: il preascolto (lo stile dell’epoca prevedeva infatti di ascoltare le canzoni dall’inizio) che gli avrebbe consentito di entrare al momento desiderato, e il crossfader, il cursore orizzontale che consente di miscelare due canali, abbassando il volume di una traccia e alzando quello dell’altra. Così, con la sua creatura tra le mani, inizia ben presto a esplorare altri generi musicali oltre alla disco, dal rock al jazz, per cui non si poteva scegliere un modo migliore per chiudere questa edizione 2021 del JazzMi, poichè jazz e rap, come ricorda uno degli ideatori della rassegna, hanno in comune la stessa matrice: nascono dal basso, dai sobborghi delle grandi metropoli, per dare voce a chi voce non ne ha mai avuta e da secoli viene represso dalla comunità bianca americana.

L’impresa stavolta è riuscire a portare a casa qualche scatto decente, tra le luci da discoteca e la gente che non riesce a stare ferma in sala, c’è chi rincorre con frenesia il proprio posto e chi non ce la fa a stare fermo sulle poltroncine…e la differenza la fa proprio il pubblico, nonostante il lungo ponte festivo e la coincidenza con altri eventi; uno spettacolo nello spettacolo quello delle braccia alzate in aria e dei cori che partono al minimo cenno del maestro di cerimonia, “Somebody say ooooo! – oooooo!” e “Throw your hands in the air/and wave like you just don’t care!” e tutti a rispondere e a muoversi a destra e sinistra in un clima di gioia che non si vedeva, ahimè, da due lunghi anni. Lo show inizia intorno alle 21.30, il dress code è sempre lo stesso: tuta Adidas, cappello con visiera, scarpe da tennis e collana rigorosamente d’oro giallo al collo. Si fa subito sul serio, andando dagli artisti sopracitati agli Ac/Dc, con il celebre riff di Back in Black, passando poi per Empire State of Mind, di Jay-Z e Alicia Keys, fino alla premiata ditta Run DMC/Aerosmith con la mitica Walk This Way, di cui tutti, ma proprio tutti, urlano a squarciagola il ritornello. Alle spalle della consolle scorrono le immagini dell’amico Jam Master Jay, che tanto avrebbe avuto ancora da dire, se non ci avesse lasciato prematuramente nel 2002. In circa due ore di spettacolo Flash si muove con la rapidità di un ventenne, facendo scorrere sotto le sue dita quasi mezzo secolo di disco music, da That’s The Way (I like it) di KC & The Sunshine Band, a The Power degli Snap! fino ai suoi successi più grandi, The Message del 1982, con i Furious Five, e White Lines, con Melle Mel, con cui chiude la serata. La cosa che più mi colpisce è che anche quelli più giovani presenti in sala ne conoscano a memoria le parole, segno che la buona musica sopravvive al passare delle mode ed è in grado di unire diverse generazioni in ogni parte del mondo. In principio erano lui, Afrika Bambaataa e Dj Kool Herc.