I N T E R V I S T A


Articolo di Francesca Marchesini

Lo scorso 26 novembre è uscito Solco, quarto singolo degli emergenti Mosaico. Il gruppo, composto da Simone Cacciali (voce), Alfredo Valenti (chitarra), Alex Lusardi (basso) e Jacopo Mondina (batteria), ha appena presentato il proprio lavoro alla quinta edizione della Milano Music Week, una settimana di incontri, workshop e showcase dedicata alla formazione e alla condivisione dell’esperienza musicale tra addetti ai lavori e appassionati; ho avuto modo di intervistarli tutti e quattro per parlare di questa esperienza e conoscere il progetto rock italiano Mosaico.

Mosaico è una realtà giovane, sia per l’età anagrafica dei suoi componenti (fra i 20 e i 23 anni ndr) che per la vita della stessa band (i primi live risalgono al 2019 ndr). Potreste dirmi come nasce questo gruppo con stanza tra Piacenza e Parma?
SC: Alex e io facevamo già parte di una band ai tempi delle scuole superiori, ma facevamo sostanzialmente solo cover. Dopo l’ingresso di Alfredo ci siamo voluti buttare sul rock italiano cominciando anche a scrivere i nostri primi pezzi. Col passare del tempo ci sono stati diversi cambi alla batteria e quest’estate Jack è entrato a far parte della squadra.

Con l’uscita di Solco avete raggiunto la pubblicazione di quattro brani (i precedenti sono Tieniti la notte, Una Vita Piena e D’Istinto ndr); dobbiamo aspettarci a breve la pubblicazione di un LP?
SC: Beh, l’obiettivo finale è sicuramente la creazione di un album e continuiamo a lavorare sempre su nuovi pezzi, ma per ora ci atteniamo alla pubblicazione di EP che ci sembra la forma più funzionale per condividere i nostri lavori.

Oltre a realizzare la vostra musica, avete da poco concluso una lunga serie di live attraverso la provincia di Parma…
AL: Sì, l’ultima serata si è tenuta a Fidenza il 9 ottobre.  La cosa bella è vedere che concerto dopo concerto, specialmente se sono luoghi nei quali siamo già stati, chi ci ha già visto torna per riascoltarci. Recentemente abbiamo portato anche alcuni concerti acustici, situazioni piuttosto intimi e a stretto contatto con il pubblico. Devo dire che la risposta è piuttosto buona.
JM: Suoniamo ancora il più delle volte in posti piccoli, e questo ci permette di essere molto vicini a chi ascolta e vedere sempre la loro reazione ad ogni canzone. Ai live oltre che portare la nostra musica, ci piace presentare anche delle cover, che però cerchiamo di riarrangiare sulla in base allo stile del gruppo. Fare cover poi ci permette di acchiappare l’attenzione, mentre se facessimo solo pezzi nostri rischierebbe di annoiare il pubblico. Quindi partiamo pian piano, quando sappiamo che ci può essere più gente che ci conosce mettiamo più pezzi nostri in scaletta o al contrario decidiamo di tagliare qualche pezzo nostro in favore di un paio di cover, cercando comunque di bilanciare la scaletta della serata.

Parliamo allora di cover, quali sono gli artisti che preferite interpretare?
AV: Le cover sono sicuramente una scelta di “genere” nel senso che ci permettono di inserirci in uno contesto musicale e sonoro ben preciso. Inizialmente suonavamo grunge, nel corso degli anni siamo comunque rimasti ancorati al rock per poi avvicinarci a brani più funky-rock come quelli dei Red Hot Chili Peppers, o tracce più folk-rock come quelle dei Fleetwood Mac.
SC: Secondo me però, la cover di cui per ora possiamo andare più fieri è Il chitarrista di Ivan Graziani, sicuramente un gran pezzo di un gran cantautore italiano. È un brano che con i nostri gusti calza benissimo, portando sia una strumentale molto “suonata” sia un testo italiano particolare e diverso da quello che molte band propongono ora. Forse perché appartenente a un passato vicino, ma un po’ lontano da noi e dalla nostra generazione.

Quali sono i musicisti che più via hanno influito, invece, per ascolti personali?
AL: Se dovessi pensare a un nome nello specifico, ti direi forse John Mayer.
SC: In realtà io ascolto generi vari, ma anche io se dovessi scegliere un gruppo di riferimento penserei sicuramente ai già citati Red Hot Chili Peppers.
AV: Se devo pensare ai miei ascolti, sicuramente ho compiuto un’evoluzione partendo dal classic rock e arrivando a concentrarmi sempre di più sul jazz.
JM: Anch’io passo fra i generi più vari, ma di base anche io parto dal rock storico, anche se trovo davvero interessante tutta la musica pop uscita fra il 2000 e il 2015.

Pensando ai quattro singoli che avete pubblicato a partire dal gennaio 2020, quanto sono rilevanti i vostri ascolti durante la scrittura dei pezzi? In generale, come descrivereste il vostro processo creativo?
AV: Se penso a come abbiamo lavorato fino a oggi, non credo si possa ancora parlare di un vero processo creativo; ai pezzi che abbiamo per ora composto abbiamo sempre lavorato insieme. Qualsiasi idea o sperimentazione che a noi personalmente piace viene portata in sala prove e dopo aver jammato si decide insieme come la situazione si può evolvere.
SC: Anche sui testi lavoriamo sempre insieme, magari qualcuno presenta una visione personale, ma poi il lavoro resta collettivo. L’argomento dipende da più fattori: magari chi per primo ha portato la prima idea di testo ha utilizzato una sua sensazione personale da cui partire, altre volte l’argomento è influenzato da un ragionamento o da una “chiacchierata” fatta prima della scrittura di quel testo e riguardava proprio quell’argomento che poi è stato “portato in arte” dal testo.
AL: Un tema che ci è caro è sicuramente quello della sera e del notturno inteso come momento riflessivo e spesso di vita, come in Tieniti la notte, in cui la notte viene personificata in una dolce ragazza. Molto più spesso si parla di argomenti più universali, che possono essere presi a modello da tutti, come il volere una “vita piena” o la relazione che si ha con il tempo come in D’istinto.

Arriviamo ora a parlare della Milano Music Week
AL: È stata un’esperienza davvero entusiasmante e abbiamo avuto modo di presentare i nostri brani in chiusura all’evento in un posto davvero bello, la Palazzina Liberty.
JM: E poi, un contesto come la Milano Music Week ti permette di avere uno sguardo su quella che è una realtà più adulta, matura e avanzata del mondo e mercato musicale. Hanno premiato con dischi d’oro alcuni produttori storici della musica italiana, e i personaggi presenti erano artisti o produttori che facevano quel mestiere da anni, l’ambiente era piuttosto raffinato, curato, molto diverso dai locali di città in cui siamo abituati a suonare. Sicuramente è stato un bell’assaggio di quello che può essere il mondo della musica di chi già ci naviga da un po’.
SC: Esatto, sicuramente il confronto gli addetti al settore è fondamentale. Ci è stata data l’occasione di far vedere quello che sapevamo fare davanti a un pubblico di professionisti e l’aver ottenuto un feedback più che positivo ci dà una certa soddisfazione.