R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Si sa relativamente poco di Adriano Tortora se non quel minimo d’informazione che ci arriva dalle note stampa. Non abbiamo quindi aneddotiche da ricomporre ma solo qualche punto fermo, tra i quali uno è la sua nascita (Roma, classe 1994) e l’altro è la sua frequentazione spagnola – Valencia per la precisione – città dove ha proseguito la sua formazione artistica. In realtà alle spalle di questo giovane e validissimo pianista – un’autentica sorpresa almeno per noi di Off Topic – ci sono studi seri di musica classica e di jazz, questi ultimi svolti al conservatorio di Santa Cecilia con maestri importanti tra cui spicca il nome di Danilo Rea. Altri pianisti come Vardan Ovsepian hanno partecipato direttamente alla sua crescita musicale e bisogna comunque annotare come l’influenza del musicista armeno sia stata piuttosto rilevante per quello che si può percepire in questo Choret, la prima uscita discografica ufficiale di Tortora. Salta all’orecchio la personalità già ben costruita del pianista romano nella cui eclettica sonorità non si riscontrano molti punti di riferimento al di là di quelli appena rilevati. Piuttosto Tortora, risente di ambientazioni più spesso di derivazione latina – e del resto il titolo dell’album rimanda alla tradizione brasiliana – dentro cui si muove con scioltezza possedendo un tocco morbido, fluido e ricco di colore. Si avverte inoltre come egli non possegga uno stile pianistico percussivo ma sia invece più incline alla sfumatura e alla delicatezza di suono, attento alle soluzioni armoniche consonanti rispetto alle dissonanze, per la verità poche e limitate ma ben centrate, come vedremo, in alcuni specifici momenti. Frequenti le costruzioni rapsodiche per cui si ha spesso l’impressione di un puzzle di frammenti diversi tra loro, indipendentemente dai singoli sviluppi armonici, ma comunque uniti con un senso preciso, con un disegno ben progettato ed altrettanto ben realizzato. Qualche sconfinamento – ma gestito con cognizione di causa – nella musica pop, dove il tono complessivo si fa più leggero e comunque mai banale. Com’è lecito aspettarsi dal percorso di studi di Tortora, anche l’importazione di qualche ricca suggestione classica arricchisce il suo lavoro. Il risultato finale si condensa in un puro piacere dell’ascolto, reso al massimo delle sue possibilità anche per merito di tutti gli impeccabili collaboratori. Tra questi la parte ritmica del trio di base, cioè il contrabbasso di Matthew Baker – in alternanza con Robert Lee – e la batteria di Simone Zaniol. Compare anche la cantante Sofia Kozak e un cameo al violoncello di Roser Talens.

Almas Queridas, il brano d’apertura, è dedicato al trombonista valenciano Toni Belenguer scomparso nel 2020. Una sequenza di accordi iniziali di piano evidenzia una melodia che si tiene lontana da qualsiasi messaggio sdolcinato. Verso la metà del percorso gli strumenti si allontanano dalla strada maestra per deviare in una improvvisazione libera, come fosse il risultato di una sovrapposizione di numerosi ricordi ed immagini affastellate una all’altra. Il recupero del “qui ed ora” fa si che venga ripreso il tema iniziale per poi andare a concludere nella stessa atmosfera pensosa delle prime battute. Sotto il mare sopra le stelle è un affascinante mescolanza tra ritmiche latine e jazz moderno, qualcosa che mi ha rimandato ad alcune istanze alla Rubalcaba. Leggera come una farfalla, la voce della Kozak, estremamente gradevole, vola tra una frase musicale e l’altra fino a quando Tortora s’impegna in un assolo pulito, ben costruito, sostenuto dalle note piene del contrabbasso. Ancora il canto nel finale, spensierato e inafferrabile, a conclusione del brano. Nuovo sole tra le nubi possiede quasi uno spirito naturalista ma il ritmo s’arricchisce di incalzanti inserti in tempi dispari e l’ottima ritmica non concede eccessivi spazi alla meditazione. Un’irrequietezza di base s’insinua tra le linee melodiche, il contrabbasso sembra enunciare questo stato di arousal, la batteria si sbizzarrisce in un elegante gioco di piatti e percussioni. Choret richiama nel titolo proprio lo Choro brasiliano, una forma musicale nata a Rio de Janeiro sul finire del XIX secolo per elaborazione in forma popolare delle più famose danze occidentali. Questo brano ha un inizio veramente sui generis in un abbrivio a tre con piano, violoncello e contrabbasso suonato ad arco. Poi Tortora immette nel suo piano uno scorcio acustico di ritmica sudamericana, passando addirittura dietro le quinte verso la metà della traccia, lasciando per un momento il campo al dialogo tra basso e percussioni. Riprende però poi le redini del gioco nella seconda metà del tragitto con un lungo, ficcante e coloratissimo assolo e arrivando al termine in parallelo con qualche ultima nota di violoncello. Oceano mostra diverse analogie con Nuovo sole… Anche qui tempi frammentati con un tema di fondo dall’aspetto drammatico e melodie che si avvicinano al sentire spagnolo, ricordando persino alcuni aspetti strutturali del flamenco che giocano su quegli intervalli di semitoni caratteristici dell’accompagnamento di questa danza andalusa.

In To Leave ritorna il piacevole canto della Kozak in un brano più leggero dei precedenti, con una melodia cantabile che probabilmente, data l’indicazione del titolo, allude ad un distacco e alla conseguente emozione della lontananza. L’album si avvicina, in questi momenti, ad un certo pop raffinato, dai contorni smussati, diluito però in una soluzione più nobile di liqueur  “jazz aromatizzato”. Proprio in situazioni come questa si annota l’abilità di Tortora nel sapersi muovere tra ambiti diversi con stili adattabili e sonorità proteiformi. Vicini Lontani è a mio parere tra i brani migliori dell’album. Vi sono molte variazioni di tempi e di colori, con momenti arpeggiati e stacchi più spigolosi di umore jazz-rock. Le costruzioni di Tortora sono complesse e variegate anche se gli incastri tra le singole cellule strutturali risultano a tratti un poco indaginose. #11 ha un andamento classico che si svolge in un dialogo rigorosamente condotto a due, tra piano e contrabbasso, rimarcando l’aspetto confidenziale che caratterizza l’intera traccia. La musica di #11, dopo l’incipit descritto, matura in una bella jazz-ballad in cui si creano spazi d’assolo per il contrabbasso che tende a rarefare le sue misure. L’intervento successivo del piano è veramente un manifesto di scienza armonica e compositiva che chiude, quasi completamente, il disco. Dico quasi perché come una sorta di bonus-track, assolutamente alieno al tono generale dell’album, la vera e propria chiusura è affidata ad una canzone che vede Tortora, oltre che al piano, anche alla voce, nonché autore del testo. Con Tre squilli al campanello viene omaggiata la nonna dell’autore e ovviamente si percepisce il ricordo e l’affetto del nipote. Anche il testo non sarebbe male se ad un certo punto le sillabe non diventassero troppe per la metrica della canzone e vi venissero sospinte a forza causando un effetto di costrizione all’ascolto.

Resta comunque l’impressione finale di un lavoro che si sostenga come un sughero sull’acqua, con leggerezza, scantonando tutte le insidie a cui un album così eterogeneo come questo potrebbe andare incontro. Teniamo comunque presente la maturità espressiva e la padronanza di suono che possiede Tortora, tratteggiando già uno stile ben definito a nemmeno trent’anni di vita. Tutto questo costituisce una sorta d’investimento artistico che non potrà far altro che arricchire ulteriormente il gusto estetico e i contenuti che questo pianista potrà proporre in futuro.

Tracklist:
01. Almas queridas
02. Sotto il mare sopra le stelle
03. Nuovo sole fra le nubi
04. Choret
05. Oceano
06. To leave
07. Vicini Lontani
08. #11
09. Con tre squilli al campanello