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Articolo di Eleonora Montesanti

Oggi presso l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano verrà inaugurata la mostra fotografica “Le vite degli altri – Lisboa Edition” del fotografo e videomaker Nicola Cordì, che abbiamo imparato a conoscere soprattutto grazie alla sua collaborazione con Giuliano Dottori. Ed è proprio dal titolo di una canzone di Giuliano che prende il nome questo progetto. “Lisboa Edition” è una ricerca fotografica realizzata a Lisbona nata dal desiderio di raccontare la spontaneità degli abitanti del luogo. L’autore non ricerca un’immagine che colpisca o la bellezza ad ogni costo, ma esplora i colori, i gesti e i volti che lo circondano, descrivendo la semplicità della vita quotidiana.
Per l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Nicola.

Quando hai scoperto la tua passione per la fotografia? Ti ricordi qual è stato il tuo primo scatto significativo?
Mi sono avvicinato alla fotografia a 10 anni circa, mia zia mi portò al circo e a fine spettacolo il pagliaccio mi fece un’ istantanea mentre ero vicino a un elefante. Restai subito affascinato dalla polaroid, nel giro di pochi mesi raccolsi i soldi e ne comprai una.
Probabilmente la mia prima foto significativa è stata scattata poco dopo aver acquistato la prima reflex, era un periodo di scelte, non avevo capito ancora cosa fare del mio futuro. Una notte feci un ritratto a un amico, con lo stretto di Messina sullo sfondo. Lo inviai ad una selezione per partecipare ad una mostra collettiva presso la facoltà di scienze della formazione di Messina che a quel tempo frequentavo. La foto venne scelta e così partecipai all’esposizione. Da quel momento decisi di studiare fotografia.

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E quand’è, invece, che la fotografia ha incontrato la musica? Qual è il tuo personale punto di contatto tra l’arte visiva e quella uditiva?
“Una volta acquistata la reflex non me ne liberavo mai”, chi mi frequentava in quel periodo lo sa bene. Fotografavo le mie tartarughe, i miei cani, gatti, mia madre, e anche i concerti quando andavo a vederli al Blue Dahlia. Pian piano mi resi conto che scattare mentre i musicisti suonavano mi piaceva e in un certo senso, mi faceva sentire parte del gruppo. Mi sarebbe piaciuto imparare a suonare la chitarra, non avendolo mai fatto uso la macchina fotografica come strumento.

“Le vite degli altri”, il cui titolo deriva da un pezzo di Giuliano Dottori (artista con cui tu hai lavorato molto), è un progetto che nasce dall’osservazione delle altre persone, colte in atti quotidiani e spontanei. Come scegli i soggetti da immortalare?
Sinceramente non uso un metodo o una tecnica particolare, capisco in maniera spontanea cosa mi piace fotografare. Provo empatia verso certe situazioni e persone, perché sono cose che vivo personalmente. Potrei essere io a sbadigliare in metropolitana, o a sorridere ad uno sconosciuto davanti un bicchiere di Porto, mentre in sottofondo suona il fado.
A volte amici mi consigliano persone da fotografare, spesso io non vedo quello che vedono loro, ma non perché io veda meglio o peggio, non lo so spiegare. Ci sono delle situazioni che mi colpiscono e basta. Mi rendo conto però che fotografo cose apparentemente banali, persone comuni in situazioni comuni, facce semplici sicuramente non da copertina o da riviste di moda. Sono affascinato da ciò che i media ignorano, ciò che non fa scalpore o tendenza.

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Non ti viene mai voglia di scoprire quali sono le storie che stanno dietro alle persone dei tuoi scatti?
Nella maggior parte dei casi no, anche perché credo che siano diverse da quello che vedo io. Amo le storie realistiche, ma non devono essere per forza vere. Quindi preferisco immaginarle.
In questo progetto su Lisbona ho voluto che le storie le inventasse lo scrittore Fabrizio Coppola che secondo me è un bravissimo osservatore, solo che lui, a differenza mia, le storie le scrive con la penna.

“Le vite degli altri – Lisboa edition” rappresenta un’esplorazione urbana, culturale e umana. Quali sono le caratteristiche che più ti hanno colpito, sia della città, sia dei suoi abitanti?
E’ stato un viaggio molto intenso, Lisbona è stata come un’amante, di quelle che non ti fanno mancare niente, ma non si danno completamente.
Spesso nella stessa giornata mi sono sentito sia felice che malinconico, lasciandomi contagiare dalle atmosfere della città.
Quello che mi ha colpito di più è il forte legame con le tradizioni. Mi ha ricordato molto le nostre città del sud, forse Napoli o Catania anche per la vivacità dei suoi abitanti. Sicuramente la zona che preferisco è Alfama, che è l’unica parte rimasta intatta dopo il grande terremoto del 1755.
Un’altra cosa che mi ha colpito è la statua del Cristo-Rei, che si trova al di là del fiume Tago, ma che si vede da tutta Lisbona. Mi inquietano e mi affascinano questi monumenti altissimi.

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Quale pensi sia lo scopo, principale e universale, di un progetto come “Le vite degli altri”?
Questo progetto nasce dal desiderio di raccontare la quotidianità, non credo ci sia un messaggio universale, rappresenta una parte spontanea di me, un mio punto di vista sulla nostra realtà.
Potrò ritenermi fortunato se un giorno i miei figli, o i figli dei miei amici, guardando le mie foto proveranno una sensazione di curiosità verso delle atmosfere nelle quali loro non hanno vissuto, come capita a me quando, guardando le fotografie del passato, rimango affascinato dalle facce, i vestiti e le macchine di una volta.

Se “Le vite degli altri” avesse una colonna sonora, che disco sarebbe?
Molto probabilmente “Non al denaro, non all’amore né al cielo” di Fabrizio De Andrè.

cordì by Giulia Pex

N.B. Le foto dell’articolo sono tratte dalla mostra. L’ultima opera è un ritratto di Nicola a Lisbona eseguito dall’illustratrice Giulia Pex.