Voci fuori dal coro. Questa è la definizione che ci siamo dati in Off Topic, il nostro modo d’essere. Non ci sottraiamo al rito della classifica di fine d’anno ma lo facciamo con una scelta inusuale. Non troverete le scelte della redazione, quelle dei collaboratori, il riepilogo finale e i commenti. Gli articoli del magazine testimoniano già ciò che ha colpito il nostro interesse. E poi in questo scampolo di tempo tra Natale e Capodanno siamo pigri e vogliamo goderci un po’ di meritato relax. Simone Nicastro, che inizia così la sua collaborazione con la rivista, aveva già pronta una bella lista di 50 album del 2016 da condividere. Una lista particolare che vogliamo prendere come spunto per fare il punto della situazione, per confrontarla con le nostre preferenze. Ognuno troverà qualcosa di interessante, qualcosa no, qualcosa che invece susciterà la sua curiosità. Ecco, la curiosità è l’aspetto che più ci piace e crediamo sia il motore per viaggiare nel mondo della musica. Curiosità che fa scoprire nuove cose, nuovi linguaggi, nuove emozioni. Curiosità che stimola, che fa riflettere, che permette l’incontro.

Il nostro augurio per il 2017 che inizia tra poche ore è che siate curiosi anche voi, che siate anche voi delle voci fuori dal coro, che non vi fermiate alle certezze del “conosciuto” ma che abbiate la voglia di rischiare!

(La redazione)

Articolo di Simone Nicastro

50° Miglior album 2016: Alì – Facciamo niente insieme

Come ogni anno mi “consento” di stilare una personale classifica musicale annuale. I criteri sono sempre gli stessi: inserire quel che mi piace, quello che valuto musicalmente valido, quel che ho ascoltato maggiormente e infine quel che penso possa essere rappresentativo dell’anno e restare in futuro. Purtroppo per carenze personali alcuni generi fondamentali di oggi, quale l’hip hop, vengono quasi del tutto tralasciati. Inizio con una piccola perla nostrana, leggera e mediterranea, canzoni come piccole onde che lasciano per un attimo disegni (e ricordi) sulla sabbia. “Facciamo niente insieme” di Alì.

49° Miglior album 2016: Suzanne Vega – Lover, Beloved: Songs From An Evening With Carson McCullers

Il mio debole per Suzanne Vega si perde nel tempo. Ho apprezzato tutte le sue incarnazioni e non solo quelle per cui viene ricordata dai più. Negli ultimi anni, tra l’altro, quella sua consueta voglia di sperimentare, la sta portando in ulteriori nuovi territori tra cui questo album tratto dal musical sulla scrittrice americana Carson McCullers, antica passione della cantautrice. Il livello, come sempre, è eccelso.

48° Miglior album 2016: The Jezabels – Synthia

Checché se ne dica l’estetica degli anni 80 era funzionale alla presenza quotidiana di una donna complessa, irresistibile e personale. Figlia di un femminismo consapevole e carica di una sensualità unica. Lo sa bene Hayley Mary McGlone che con i suoi The Jezabels, nel loro terzo album, affronta ancora più a fondo alcune tematiche care all’altro lato della luna immergendosi in cascate di synth e ritmi pop. Gemme memori della miglior Cindy Lauper e l’inarrivabile Kate Bush.

47° Miglior album 2016: Touché Amoré – Stage Four

Elaborazione del lutto, tema che incontreremo di nuovo in questa classifica. Un album per processare la scomparsa della madre del cantante dopo una lunga malattia. Alla voce urlante si aggiungono nuove drammatiche sfumature fino a trasformarsi in clean voice sull’ultimo brano in scaletta, il duetto con la splendida Julien Baker. La matrice hardcore pur rimanendo intatta permette agli assalti sonici di alternare la tensione violenta a fraseggi puramente emotivi, rendendo il nuovo lavoro dei Touché Amoré non solo il più vario e completo ma probabilmente il più accessibile. Per il bene di tutti.

46° Miglior album 2016: Agnes Obel – Citizen of Glass

Ho avuto la fortuna di vedere Agnes Obel in concerto qualche anno fa e in quella occasione ho avuto il chiaro presentimento che non mi sarei liberato di lei per molto tempo a venire. La sua miscela di classicismo pianistico e sperimentazione armonica/ritmica/vocale non smette di sorprendere album dopo album imponendo all’ascoltatore sempre nuove esperienze di piacere. Stupirsi di questi “diversi” piaceri, ascolto dopo ascolto.

45° Miglior album 2016: Pollio – Humus

Sono particolarmente felice di scrivere di questo lavoro. Fabrizio Pollio è un amico, uno di quegli artisti per cui la musica conta, conta molto, conta per essere uomini che vivono nel mondo, che vogliono capire cosa va e cosa non va, dentro e fuori di sé, un uomo che proprio per questo non può far altro che essere un musicista, ogni giorno, dal risveglio alla notte fonda. Un lavoro gioiosamente pop, vario e articolato, dove le parole pesano e soprattutto “contano”. E in più si fanno cantare a voce alta. Ben tornato.

44° Miglior album 2016: The Range – Potential

Quest’anno ricorre il ventennale di uno degli album più straordinari della storia musicale: “Endtroducing….” di Dj Shadow. Album che innalzò il metodo cut’n’paste (sampling) a vera forma d’arte. Ora The Range con il suo “Potential” non si avvicina minimamente a quel capolavoro. Però il suo “taglia e cuci” di frammenti vocali di artisti non professionali raccolti da Youtube, rielaborati con basi minimali, ricche di beat veloci e melodie immediate, ha fatto proseliti tra molti. Un album che fa della varietà (hip hop, soul, minimal dance) il suo maggior pregio riuscendo lì dove Moby ormai non riesce più a convincere.

43° Miglior album 2016: Deftones – Gore

Quante vite hanno i Deftones. Probabilmente un pò meno del loro “girovago” cantante Chino Moreno. In tutti questi anni comunque la carriera della band continua spedita: la matrice nu metal è sempre più lontana in favore di arrangiamenti più dilatati, inserti elettronici e atmosfere rarefatte pronte ad esplodere con elettricità. Cupi, melodici e potenti. Non siamo ai livelli di quel “White Pony” che gli permise di rivaleggiare con i migliori Tool ma “Gore” è l’ennesimo tassello di valore da aggiungere alla loro personale storia.

42° Miglior album 2016: Wild Nothing – Life Of Pause

La creatura di Jack Tatum non accenna a rallentare e a distanza di poco più di due anni dall’ultimo EP abbiamo assistito ad inizio anno all’uscita del terzo album “Life Of Pause”. Le traiettorie rimangono invariate: chitarre 60’s, qualche tropicalismo ritmico, accenni leggeri di “psichedelia”. Il tutto filtrato attraverso le onnipresenti dinamiche vocal/synth stile primi anni 80. Le canzoni ci sono, la confezione pure. Abbandonarsi all’eterea malinconia è cosa semplice e giusta.

41° Miglior album 2016: Solange – A Seat At The Table

Non ho mai approfondito la storia della famiglia Knowles, anche perché fino a quest’anno non avevo molta simpatia per la diva Beyoncé. Solange di cui scriviamo qui, per chi non lo sapesse, è proprio la sorella di quest’ultima e nel 2016 si è circondata di tanti amici artisti, di diversa estrazione e latitudine musicale, e ha messo in piedi questo “A Seat At The Table”. Dentro c’è molto, moltissimo: la voce calda e pulita a modularsi sulle sfide lanciate dai molti brani in scaletta. Un new soul ricco di particolari, mai compiacente, dove le tematiche sociali si sposano a quelle più personali. Niente è fuori posto, un album in cui si respira la grandezza della black music d’annata tirata a lucido per i nostri giorni.

40° Miglior album 2016: Nada – L’amore devi seguirlo

Da un paio di settimane è successo qualcosa di strano. O forse neanche molto visto l’andazzo generale: in molte classifiche italiane di streaming e di vendite al primo posto c’è una canzone di Nada. Prima dei soliti Vasco, Jova e compagnia. Una canzone tratta da un album del 2004. Un album che, nonostante il premio Mei di quell’anno e, meno rilevante, dal sottoscritto presentato fin da allora come uno dei capolavori degli anni zero, non si era praticamente filato nessuno. Si direbbe un miracolo. Il miracolo di “Young Pope” o meglio della sua colonna sonora. Detto questo Nada da anni realizza opere interessanti e variegate. Non insegue mode o semplici revival, si spinge in territori musicali difficili uscendone quasi sempre vincitrice. Anche nel 2016. P.S. Andate a vederla dal vivo. Spettacolo puro.

39° Miglior album 2016: Carla dal Forno – You Know What It’s Like

Se fossi David Lynch contatterei immediatamente l’australiana Carla Del Forno. Poli strumentista residente a Berlino potrebbe essere la sua nuova musa, cinematografica e musicale. Il suo mondo a tinte opache, spiazzante e ossessivo, racconta una quotidianità di solitudine, di assenze, di intimo desiderio di “scoprire” gli esseri umani e quel che li rende tali. Tappeti sonori ripetitivi, ovattati, con tastiere flebili e funeree. Chitarre, bassi e archi dediti a dipingere orizzonti spettrali. Alcuni pezzi strumentali e altri invece con la voce di Carla, leggermente stonata e lontana, mai melodica e rassicurante. Un esordio importante per chi ha la voglia di uscire dalla propria comfort zone per ritrovarsi in “altro”. A volte risulta necessario.

38° Miglior album 2016: Dinosaur Jr. – Give A Glimpse Of What Yer Not

Puoi scrivere la stessa canzone per trent’anni ed essere credibile. Si se quella canzone è “la canzone”. E tu devi solo ritoccarla di quel poco che serve ogni volta. C’è poco da fare, tanti anni fa Mascis e Barlow hanno trovato l’arca dell’alleanza del rock alternativo americano e ne hanno fatto un marchio di fabbrica di cui è inutile qui ricordare l’importanza storica. Quindi ennesimo album che pensi “ma è sempre la stessa roba” e poi sei lì a cantarle tutte, pensando a come ti piacerebbe suonare la chitarra come Mascis, compresi quei “riffoni” che ogni volta tolgono trent’anni anche a te. Lunga vita ai Dinosauri.

37° Miglior album 2016: Leo Pari – Spazio

Sono un grande estimatore del periodo Battisti/Pannella, che insieme al Battiato di quei stessi anni, ha attualizzato e sensibilmente migliorato il pop nel nostro paese. Leo Pari, per il suo nuovo album, si è decisamente ispirato ad album come “E già” e “La Sposa Occidentale” aiutato, tra l’altro, da un cantato molto simile al Lucio nazionale. Ne è uscito un lavoro comunque attuale e radiofonico con testi in giusto equilibrio tra riflessioni e cantabilità. Un chiaro esempio di come sul genere si possa essere accessibili senza essere banali (leggi alcuni “tormentoni” indie dell’ultimo anno). Mi auguro che Leo Pari continui su questa strada con sempre maggiore successo.

36° Miglior album 2016: Rihanna – Anti

Chi mi conosce sa che ho un debole per Rihanna e che questo mi rende ancor meno obiettivo di quanto lo sia di solito. Obiettivo con me stesso sia chiaro. Ma devo ammettere che il resoconto impietoso di alcuni amici sul concerto della diva a San Siro mi ha lasciato per lo meno perplesso. Però non sarei sincero se non inserissi “Anti” in questa classifica personale, probabilmente l’album più personale e sentito nella carriera della cantante. Rihanna questa volta non ha guardato in faccia a nessuno, ha scelto in maniera ancor più autonoma collaboratori e brani da interpretare (cover dei Tame Impala inclusa), ha rilasciato l’album su canali alternativi e ha radicalizzato ulteriormente il suo approccio mediatico. “Anti” è un lavoro a tratti alienante, moderno e vintage allo stesso tempo, curioso nei dettagli e affascinante nel dipanarsi. Per non parlare dei molteplici registri vocali utilizzati con estrema cura. E infine menzione di merito per “Work”: una canzone non canzone inno vero di questo 2016.

35° Miglior album 2016: Paolo Cattaneo – Una Piccola Tregua

Essere eleganti nella musica è visto quasi con sospetto. Eleganti nel costruire passaggio dopo passaggio le proprie canzoni. Eleganti nel incastonare le parole negli spazi necessari per l’ascolto. Eleganti nel chiedere con pudore di lasciare trasparire le proprie emozioni. Eleganti nel sottrarsi al ricatto del tutto deve essere immediato e diretto. Paolo Cattaneo da anni è un autore elegante che merita molto di più di quanto ha ottenuto finora. Ma del resto basta farsi un giro in tram (o su Instagram) per rendersi conto del concetto odierno di eleganza. “Vieni qui e ti lascio toccare le stelle. Trasparente”.

34° Miglior album 2016: Birthh – Born in the woods

Quest’anno ho avuto la possibilità di ascoltare Alice Bisi, in arte Birthh, due volte. E per due volte sono rimasto totalmente rapito. Stesso effetto con l’album del resto. Non nascondo che i riferimenti musicali sono fin troppo chiari ma l’urgenza della diciannovenne autrice è talmente forte da trasfigurare il risultato. Si resta ammaliati dagli arpeggi melanconici, dall’incedere lento, dalle sequenze disturbanti, dalla voce chiara e confidenziale. Si resta quasi interdetti nell’ascoltare parole così scure e dolorose da una ragazza così giovane. Alla fine si esce però come pacificati, certi della autenticità della bellezza. Non vedo l’ora di ascoltare nuove canzoni.

33° Miglior album 2016: The Weeknd – Starboy

A solo un anno di distanza l’ormai star consacrata The Weeknd è tornata. Nuovo album, 18 brani in scaletta, siamo in preda ad una vera e propria bulimia artistica. Ma del resto è evidente quanto Abel Tesfaye, alias The Weeknd, desideri diventare il “number one” della pop music moderna. In effetti le similitudini con “The King” Michael Jackson si sprecano. Nel dettaglio il nuovo lavoro risulta più a fuoco rispetto all’ultimo concentrandosi più sull’aspetto dance e elettro. Solita carrellata di ospiti su cui evidentemente spiccano i Daft Punk che regalano una “Starboy” già hit dell’anno e dei prossimi mesi. Perfetto regalo natalizio (evitare però bambini che conoscono l’inglese).

32° Miglior album 2016: Oscar – Cut And Paste

Folgorazione. Londinese, opera prima, voce baritonale e “scazzata”, mix di quanto buono c’era nel britpop e nel suo breve revival anni 00, produzione praticamente fai da te, ironia a pacchi e video tutto incentrati sulla sua dinoccolata figura. Sarete stupiti dalla velocità con cui queste canzoni vi si stamperanno in testa. Folgorazione e soprattutto curiosità su dove Oscar potrà arrivare da qui ai prossimi anni. Intanto amici e amiche che da anni sospirate per quel periodo e genere (so perfettamente chi siete) date una possibilità al ragazzo. Non ve ne pentirete.

31° Miglior album 2016: Nick Cave & The Bad Seeds – Skeleton Tree

Devo ammettere che mi trovo in difficoltà a parlare dell’ultimo lavoro del Re Inchiostro. Come tra l’altro mi sembra singolare inserirlo in posizione tutto sommato non così rilevante. Vero che rispetto alle centinaia di album ascoltati lui rimane sempre tra i più graditi però stiamo parlando di uno dei più grandi di sempre, un monumento a tutto quello che io reputo essenziale e importante nell’arte musicale. Purtroppo quest’ultimo album, che dopo la morte del figlio ha assunto ulteriori lancinanti significati, non mi ha trovato pronto. Rispetto al precedente ho riscontrato troppa monotonia negli arrangiamenti e un mood un pò datato nonostante la novità di alcuni inserti elettronici. Detto questo le parole come sempre trafiggono, la voce fa così male da togliere il respiro e in alcuni passaggi armonici la terra smette di girare. Come ha sempre fatto in presenza di Cave. Un abbraccio anche da me Maestro.

30° Miglior album 2016: Sorge – La Guerra di Domani

“Mio padre l’ho perso a vent’anni. Credeva che sarei finito alla deriva come quei tossici che incontrava alla Pinetina. Invece adesso che di anni ne ho quarantotto sono qui che scrivo versi mentre le mie figlie giocano in salotto”. Per uno che da anni ha il nome di “Mimì” nel suo nickname sui social non c’è molto da aggiungere. Nuovo progetto di Clementi. Basta e avanza anche questa volta.

29° Miglior album 2016: Blood Orange – Freetown Sound

Mai come in questi anni l’r&b ha assunto un ruolo dominante nel mercato americano (occidentale?) grazie alla contaminazione con l’hip hop e soprattutto una certa produzione/confezione elettronica di base. Ho visto Blood Orange in Luglio al Festival Moderno e mi è sembrato di assistere ad un concerto di Steve Wonder in salsa Price meno elettrico. Uno spettacolo di straordinario appeal. E anche l’ultimo album, incentrato su tematiche quali la diversità di colore, sessualità e religione, non sfigura contro i grandi classici del genere. Il tono mai aspro o accusatorio sembra cercare sempre un barlume di speranza sostenuto da sonorità pop/soul e pop/funk di pregevole fattura. Piacevole sorpresa per me e per i tanti altri che l’hanno scoperto solo con questo ultimo lavoro.

28° Miglior Album 2016: The Divine Comedy – Foreverland

Neil Hammond è tornato. Niente è cambiato per lui. Lui se ne frega di quello che musicalmente succede nel mondo. Forse anche non solo musicalmente. Sei anni per un nuovo album ma, si sa, i dandy si prendono sempre il loro tempo. Soprattutto per vestirsi. E anche questa volta gli indumenti sono tutti impeccabili: registro autorale, filastrocche ironiche, sbilenchi traditional, duetti da musical, orchestra e nobiltà british da serata di gala. Che poi se scrivi una canzone come “To The Rescue” potresti anche vestirti da clown e saresti lo stesso il più stiloso di tutti. Ci vediamo alla prossima Neil.

27° Miglior album 2016: Rüfüs – Bloom

L’universo dance è sempre in continuo movimento, anche se molti, al fine di snobbarlo, lo vorrebbero sempre uguale a sé stesso. Ma la base della dance è il compromesso metodico, inglobare tutto e buttarlo fuori in chiave ballabile (o per lo meno far muovere la testa). I Disclosure negli ultimi anni hanno fatto scuola: far dance come se fosse pop, cantabile e catchy, edm da alta classifica anche per chi in discoteca non metterebbe mai piede. Bloom è il secondo album dei Rüfüs, giovane gruppo di Sidney, che ha fatto proprio il discorso di cui sopra e giocando ancora di più sulle melodie immediate e downtempo ha creato un album di potenziali singoli spacca charts. Provare per credere, soprattutto le ragazze.

26° Miglior album 2016: Motta – La Fine Dei Vent’anni

Premio Tenco opera prima 2016. In tanti hanno parlato di Motta quest’anno. Purtroppo sempre troppo poco rispetto ad altri molto meno meritevoli. “La Fine Dei Vent’anni” è sicuramente uno degli album italiani dell’anno: prodotto e arrangiato da quel mostro di bravura chiamato Riccardo Sinigallia, i 10 brani in scaletta sono un esempio luminoso di cosa il cantautorato rock nostrano, quando è supportato da uno sguardo interessato (interessante) alla realtà e arrangiato su dinamiche non consolidate, può raggiungere. Canzoni come piccoli mantra, ritmi spezzati e coinvolgenti, inseguimenti tra chitarre acustiche ed elettriche, tastiere a punteggiare la melodia senza mai diventare invadenti. Poi qualcuno, tra cui il sottoscritto, potrà avere difficoltà con il timbro vocale molto “ruvido” di Motta ma questo non intacca minimamente un’opera che ha portato una ventata di freschezza al genere in una fase di stanca preoccupante. Buona la prima.

25° Miglior album 2016: Savages – Adore Life

Devo ammettere che ho fatto fatica con il secondo album delle Savages. La materia post punk del primo lavoro della band è stato rimaneggiato: l’immediatezza wave è stata quasi repressa, interiorizzata a favore di maggiore drammaticità, implosioni improvvise e risvolti gotici. La cosa strana è che tutto questo mi avrebbe dovuto coinvolgere comunque e invece così non è stato. Poi ho capito che non era la teatralità di Jenny Beth e la sua band fuori contesto ma ero io a interpretarlo male (subirlo). Le Savages hanno stratificato il loro “wall of sound” per essere concettualmente ancora più aderenti ai messaggi delle loro canzoni. Messaggi che chiedono impegno, immedesimazione e trasporto. Restituiscono urgenza, passione e ulteriori domande. Del resto non è questa l’esperienza che le grandi band ci fanno vivere da sempre. Proprio vero che l’ascolto non può essere mai un esercizio automatico e banale.

24° Miglior album 2016: The Hotelier – Goodness

Raramente mi capita di apprezzare band punk melodiche, fin da quei anni 90 in cui il genere ha avuto il suo apice. Però pur partendo da lì sarebbe riduttivo incasellare questo “Goodness” solo a quella latitudine. I ragazzi del Massachusetts ricoprono le loro canzoni di una coltre fortemente emo e giocano con arrangiamenti propriamente indie fino a giungere in alcuni vertici a quel college rock americano di cui i R.E.M. prima fase sono stati gli alfieri (per il sottoscritto insieme ai The Lemonheads). Sono dischi come questi che ti spingono a ricordarti i giorni di scuola, le sigarette al muretto con gli amici e le lattine di birre in campagna di notte. Dove le stelle illuminavano il suo volto. Ed eri sicuro l’illuminavano solo per te.

23° Miglior Album 2016: Niccolò Fabi – Una Somma Di Piccole Cose

Ma veramente c’è ancora qualcuno che si stupisce o addirittura non sa che Niccolò Fabi è uno degli autori più importanti che abbiamo in Italia da sempre. Un paroliere personale che attraverso la forma canzone ci racconta la poetica drammatica e bellissima della vita umana. L’io narrante diventa il noi “vivendo”. Questa volta Niccolò si è allontanato dalla sua Roma e lontano dal caos e il rumore si abbandonato a brani musicali scarni, fatti di poco, di vuoti e pochi sussurri melodici. Brani limpidi come le sorgenti d’acqua di cui è fatto il mondo. E per la maggior parte anche il nostro corpo. Forse per questo risultano così autentici una volta “provati”. Prezioso Fabi. Molto.

22° Miglior album 2016: Wild Beasts – Boy King

Restare sé stessi mentre si cambia. Qualità molto difficile da riscontrare tra i musicisti. Soprattutto quando le sirene del successo si fanno più forti. Ma l’evoluzione artistica di Hayden Thorpe e Tom Fleming, in arte Wild Beasts, non lascia superstiti: l’originale cadenza synth pop delle origini è sempre più messa al servizio di composizioni meno solari e segnate da scosse elettroniche disturbanti e retrogusti funky. Su cui si poggia perfettamente la voce tenorile che aumenta l’aspetto cinematografico dei brani. Un album compatto, oscuro e sensuale. Perfetto per questo 2016 tutt’altro che solare ma in cui è vietato arrendersi.

21° Miglior album 2016: Nothing – Tired Of Tomorrow

Quando hai una storia personale come quella di Domenic Palermo, fatta di scelte sbagliate e prigione, qualche segno distintivo su quello che fai è inevitabile. Nel caso della band di “Philly” questo si tramuta in un noise onnipresente quasi a ribadire che ogni nostra azione possiede un rumore di fondo, un “feedback” inevitabile. Ma sotto le ceneri bruciano ancora tutte le promesse e le voglie di sempre, i ritmi e le melodie sognanti delle cose più belle. Come succedeva nei migliori episodi dei primi lavori degli Smashing Pumpkins. Tutto questo tra l’altro confermato dal live visto quest’anno a Milano: potenti, rumorosi e melodicamente inappuntabili.

20° Miglior album 2016: In Letter Form – Fracture Repair Repeat

Gli In letter Form sono un gruppo derivativo. Sono dediti visceralmente a quel luogo musicale che io considero più di tutti casa mia. Il luogo dove i Cure sono divinità eternamente invocate, dove gli Echo & The Bunnymen sono molto più celebrati degli U2, dove Peter Murphy è l’icona a cui ispirarsi, dove Ian è l’unica voce possibile per comprendere tutto quello che esiste. E purtroppo come in un “repeat” lancinante il cantante della band, Eric Miranda, è venuto proprio a mancare qualche mese fa rendendo questo album probabilmente il loro ultimo. Posso solo dire che ben prima di questo triste fatto “Fracture Repair Repeat” si è dimostrato uno dei miei ascolti più frequenti del 2016 e di questo non posso far altro che ringraziarli. In particolar modo la voce di Eric.

19° Miglior album 2016: Le Sacerdotesse Dell’Isola Del Piacere – Interpretazione Dei Sogni

Secondo album del trio piacentino. Crescita esponenziale. Il power punk del gruppo si contamina in modo ancora più netto con una malinconia shoegaze, divagazioni alternative 90’s, momenti melodicamente riflessivi. Le percussioni sostengono fughe e ritorni mentre la voce inchioda tra furia e indulgenza. Il lavoro ruota tutto intorno al tema del sogno, al rapporto tra l’incosciente e i dettagli quotidiani, ai ricordi terapeutici e letteratura esplicativa. Le Sacerdotesse Dell’Isola Del Piacere sono una boccata d’aria fresca nel rock nostrano dove i nomi più altisonanti ormai sembrano essersi persi in altri lidi e i giovani indie (o meno giovani hipster) sembrano poco interessati alle vibrazioni elettriche delle chitarre. Ma si sa, il rock non morirà mai.

18° Miglior album 2016: Covenant – Blinding Dark

Più di trent’anni di carriera per il trio svedese. Tra i più importanti rappresentanti mondiali dell’elettro dark e del future pop. Settimana scorsa ho potuto ascoltarli dal vivo presentare il loro nuovo album “Blinding Dark” (nono in carriera) e ancora una volta ne sono rimasto conquistato. La band fedele alla purezza dell’EBM cerca comunque di non ripetersi. Nel nuovo lavoro il mood prosegue comunque sui dettami oscuri del precedente “Leaving Babylon” ma con una maggiore varietà. Si passa dalla cantabilità di “Close My Eyes” alla potenza dance di “Sound Mirrors (Fulwell)”, dalla mantrica “Dies Irae” al rifacimento nerissimo del brano country “A Rider On A White Horse”, dagli interludi strumentali alla chiusura quasi ambient di “Summon Your Spirit”. Ennesima conferma e nuovo splendido capitolo musicale per i Covenant che sembrano non accusare minimamente il trascorrere degli anni. Chapeau.

17° Miglior album 2016: Minor Victories – Minor Victories

Si chiamano super gruppi. Band che uniscono diversi elementi di compagini artistiche differenti per creare qualcosa di nuovo (o quasi). Probabilmente ormai è un termine fuori moda considerato che le identità delle band non sono più né durature né tanto meno rilevanti nella maggior parte dei casi (forse solo il cantante, ma non è detto). Comunque i Minor Victories assemblano elementi dei rinati Slowdive (Rachel Goswell), Mogwai (Stuart Braithwaite), Editors (Justin Lockey) e il filmmaker James Lockey. E stupiscono riuscendo a fondere le diverse anime all’insegna di un rock crepuscolare e cinematografico, arrangiato benissimo ed in sospeso tra sonorità lievemente elettroniche, orchestrali e di forte valenza emotiva. Progetto promosso pienamente in attesa del nuovo album degli Slowdive previsto per il 2017 dopo 22 anni di attesa.

16° Miglior album 2016: RY X – Dawn

L’anno scorso Ry Cuming si era posizionato al 19° posto nella mia classifica con il progetto elettronico condiviso Howling. A distanza di pochi mesi l’artista australiano ha presentato al mondo il suo primo LP a nome Ry X dopo un EP datato 2013 (l’esordio a suo ”vero” nome del 2010 cerca di dimenticarlo anche lui!). L’album pur rimanendo influenzato dai beat minimali degli Howling (presente anche un rifacimento del brano omonimo) mette maggiormente in luce la vocalità trasognante di Cuming su scarni arpeggi di chitarra acustica. A volte le tastiere aggiungono ai brani qualche “incanto” ulteriore proiettando l’ascoltatore in una dimensione di pace, calma e riflessione. “Dawn” è un piccolo paesaggio a sé dove perdersi è estremamente facile se si ha il coraggio di visitarlo. Ulteriore conferma di questo mi è capitata anche dal vivo in quella splendida cornice che è stato il Sirens Festival di Vasto (a mio avviso miglior festival dell’anno tra l’altro).

15° Miglior album 2016: Bobby Joe Long’s Friendship Party – Roma Est

Miglior esordio italiano dell’anno. Opera definita da loro stessi come “dramasynthcoatto”, la band è uno dei progetti del collettivo artistico 03:33. “Roma Est” è un concept dove la voce narrante (spoken word al posto del cantato) ci racconta di serial killer, periferia romana, l’eleganza di Bryan Ferry, la precisione di Roberto Pruzzo, citazioni dai Fratelli Karamazov, sesso, morte e tanto altro. La musica a partire da splendide basi synth si declina e si arricchisce di molte sfumature grazie alle chitarre wave, ai bassi profondi e alla marzialità della ritmica. Tutto è curato al dettaglio: dall’aspetto sarcastico/misterioso del frontman, al merchandising, all’utilizzo dei social e ai contenuti nelle interviste rilasciate. Compresa la dichiarazione che il prossimo album in uscita nel 2017 sarà anche l’ultimo. Del resto l’obiettivo è chiaro: diventare un nuovo cult della musica italiana. Quindi “Italiani! Braccianti! Cosa fate?! Cincischiate? È una cosa seria! Deponete la vanga e sostenete questa band!”

14° Miglior album 2016: Florist – The Birds Outside Sang

Il debole che ho sempre avuto per le “canzoni da cameretta” quest’anno ha trovato una nuova eroina. Dopo alcuni EP solista e in condivisione con altri artisti, Florist ha rilasciato a inizio 2016 il suo primo vero album “The Birds Outside Sang”. Emily Sprague, voce e autrice dei brani, sussurra le sue vicende private, le sue visioni sul mondo, il dolore, la malattia e la felicità come se tutti noi fossimo solo delle ombre della sua stanza da letto. La musica così leggera e lo fi si arricchisce via via di piccole variazioni cromatiche dettate da coretti accennati, chitarre leggermente vibrate, tastiere giocattolo e altri armamentari vari e veloci. Incantevole.

13° Miglior album 2016: White Lies – Friends

Molti si stanno lamentando dell’andamento artistico dei White Lies, questo progressivo allontanamento dagli esordi post punk verso lidi sempre wave ma più legati all’estetica new romantic e pop/rock eighties. Al contrario io trovo i nuovi lavori sempre più centrati e maggiormente in linea con la vera anima della band. Se avessero più varietà si potrebbe quasi paragonarli ai Simple Minds meno sperimentali. Comunque il nuovo “Friends” è una raccolta di tutti potenziali singoli, epici, ballabili e con ritornelli killer. Le chitarre elettriche si fanno sospingere da synth vintage dove la voce umbratile di Harry McVeigh può innalzarsi nei suoi anthem. Capisco che per molti tutto questo può sembrare troppo “commerciale” ma sinceramente a me manca una band che mi riporti a cantare urlando allo stadio (mi sono rimasti solo i Depeche praticamente). E i White Lies sono potenzialmente in gara per riuscirci. Vedi il live di un mesetto fa al Fabrique. Io ne sono uscito senza voce.

12° Miglior album 2016: Radiohead – A Moon Shaped Pool

Ecco qui l’album della discordia: quelli che gridano all’ennesimo capolavoro e quelli che lo ritengono il solito onanismo alternativo della band (e dei seguaci). E io che addirittura lo lascio fuori dalla top ten di fine anno preferendogli lavori che per alcuni sarà come bestemmiare in chiesa (soprattutto quando si scopriranno le posizioni superiori). Tralasciando queste facezie “A Moon Shaped Pool” è un album sicuramente notevole in giusto equilibrio tra l’elettronica basilare figlia degli album solisti del frontman e l’ariosità orchestrale voluta da Greenwood. Il cupo lirismo dei brani è nella maggior parte dei casi sublime e allo stesso tempo stordente lasciando all’ascoltatore come una sensazione di angoscia. Le canzoni si susseguono come una lunga ipnosi collettiva dove Yorke si contorce in afflati dolorosi, personali e universali. A volte le chitarre si fanno brevemente memori del sound free e melodico che fu per poi ripiegarsi sotto le sferzate di tastiere, basso e drums. I Radiohead cambiano direzione senza tralasciare le strade passate riuscendo a confermarsi, nonostante il tempo e l’industria musicale odierna, tra le band imprescindibili della nostra epoca. Nonostante il mio 12° posto (scherzo ovviamente).

11° Miglior album 2016: Ramin Djawadi – Westworld (Stagione One)

Altra eccezione alle consuetudini della mia classifica: l’inserimento di una colonna sonora (tra l’altro non di un film ma della prima stagione di una serie tv). Ma ci sono ovviamente delle ragioni: primo è che i brani non dell’autore sono stati tutti ri-arrangiati (adattati) da quest’ultimo; secondo la perfetta convergenza di contenuto e forma tra le immagini rappresentate e le musiche eseguite (metafora dell’arcaico e del futuristico messo in scena nella serie); terzo la scelta di brani capolavori che anche in nuove forme dimostrano la loro innegabile eternità; quarto le composizioni originali che a partire dal “Opening Credits” si dimostrano efficaci e adeguate allo scopo da raggiungere; quinto la presenza massiccia di brani dei Radiohead per farmi perdonare (approvare?!) la scelta precedente; sesto e forse più importante il giusto riconoscimento al compositore della sigla probabilmente più importante di tutte le serie televisive mai trasmesse (ovviamente Game Of Thrones!).

10° Miglior album 2016: Cosmo – L’Ultima Festa

Questo è stato l’anno di Marco Jacopo Bianchi, in arte Cosmo. In Italia nel 2016 ci sono stati altri artisti cosiddetti “indie” (sempre che esista ancora una differenza con il “mainstream”) che hanno avuto numeri superiori di vendite, più pubblico ai live, maggior visibilità su youtube e altri social. Ma quel che è successo con l’album “L’Ultima Festa” e soprattutto col brano omonimo rappresenta sicuramente quanto di più rilevante è accaduto alla scena pop italiana degli ultimi 12 mesi. E mai come in questo caso il termine pop è fondamentale per capire la portata del secondo lavoro di Marco: il suo mix quasi casalingo di beat, house, melodia, glitch, tastiere e voci non solo si è fatto largo in un numero sempre maggiore di ascoltatori ma è diventato un “mood” preciso a cui già diversi artisti (anche notevolmente più famosi) si stanno adeguando. Il motivo è presto detto: Cosmo è quanto di meglio il pop italiano possa offrire in questo momento a prescindere dai difetti e le ingenuità presenti nell’album (e nella sua resa live….anche se il divertimento è assicurato, credetemi). Quindi che questa sia la prima di tantissime “ultime feste”.

9° Miglior album 2016: The Notwist – Superheroes, Ghostvillains And Stuff (Live)

Anche quest’anno un live (e così in alto tra l’altro), cosa che nelle miglior classifiche non si dovrebbe fare: un live assomiglia di per sé più ad un “best of” che ad un album vero e proprio e questo lo rende il più delle volte imparagonabile ad una raccolta di sole nuove canzoni. Però stiamo parlando del primo live in carriera dei The Notwist dopo più di 25 anni di attività. Chi li ha visti dal vivo (ancora una volta devo citare il Sirens 2016 di Vasto) sa che la band ama rimodellare le proprie canzoni intensificando l’attitudine “punk/elettronica”, divertendosi sul palco con strumentazioni decisamente particolari e rendendo il pubblico partecipe di un flusso sonoro emotivo di rara intensità e divertimento. Le riletture quasi “free” di “This Room” e “deep” di “Into Another Tune”, l’attitudine “kraut” regalata a “Run Run Run” e la versione semplicemente strepitosa del medley “Neon Golden/Pilot”, quasi 20 minuti di pop song perfetta in salsa techno psichedelica, non potevano che essere immortalate in un album ad hoc per essere fruibili a chiunque. E per chi se lo chiedesse, tra le altre gemme presenti, c’è comunque anche quella “Consequence”, brano capolavoro degli anni zero che ancora oggi non ha perso un decimo della sua meraviglia.

8° Miglior album 2016: Beyoncé – Lemonade

La più grossa sorpresa del 2016, per lo meno per me. Non sono mai stato un fan di Beyoncé, preferendole sempre nel suo genere altre interpreti più o meno famose. Ma quello che l’artista ha realizzato con “Lemonade” è imponente e più grande della somma delle parti che l’hanno realizzato. “Lemonade” è prima di tutto un gesto voluto, un percorso formativo, una “esposizione”. La scelta di una delle personalità più in vista al mondo che decide di mettersi in mostra in tutta la sua interezza e verità, tra pubblico e privato. “Lemonade” è uscito inizialmente come film musicale su HBO dove immagini, riflessioni e canzoni si susseguono ad illustrare l’intreccio tra la storia individuale (il tradimento del marito e il perdono come fonte di redenzione per entrambi) e la realtà intorno (l’appartenenza ad un popolo e la lotta per i diritti civili per tutte le minoranze). Musicalmente ogni partecipante (inutile nominarli tutti) ha dato il suo contributo che pur nella diversità si incastra perfettamente nel mosaico dell’opera. La stessa voce di Beyoncé sembra tradire qualcosa di diverso dalla solita perfezione, sembra innalzarsi e poi piegarsi alla sua stessa vita così umana e quindi così imperfetta ma probabilmente mai stata tanto personale e pura. Da vedere e ascoltare.

7° Miglior album 2016: Warpaint – Heads Up

Terzo album. Ennesime variazioni. Tutto sembra inizialmente diverso ma poi ritrovi ogni cosa che hai imparato ad amare. E nel mio caso amare “follemente”. Le Warpaint sono sexy. Lo sono sempre state. La loro musica è sexy. Anche se è glaciale, anche se è ballabile, anche se è retrowave, anche se a volte si perde lentamente in vuoti incolmabili. Non esiste “quel genere musicale” nelle mani delle Warpaint: esiste solo quello che “sputano” fuori dopo il loro trattamento. Le voci (conformi ai rituali), le chitarre (sempre essenziali e perfette), il basso (Dio mio il basso!), la batteria (implacabile), i beat, i loop, gli arrangiamenti, tutto si fonde in un unico sound. Diverso e sempre uguale. Il sound di una band che dovrebbe avere il mondo ai propri piedi. E per certi versi già lo hanno. Ah dimenticavo: “New Song” video dell’anno. Se sei le Warpaint basta un telefonino.

6° Miglior album 2016: Lele Battista – Mi Do Mi Medio Mi Mento

Mi trovo in difficoltà a mettere nero su bianco le motivazioni del perchè l’album nuovo di Lele Battista è il mio disco italiano del 2016. Mi trovo in difficoltà perchè nel mondo da me tante volte sognato ci troveremmo difronte solo ad una evidenza: quando Lele fa qualcosa di nuovo difficilmente ha rivali. Tre album solisti in 10 anni che ad ascoltarli di fila indicano un percorso umano e d’autore da mettere i brividi. Non importa se questo ultimo è più elettronico e il primo era più suonato, se il secondo ti strappava il cuore con “Il Nido” e adesso invece vieni accompagnato nel gioco infinito dell’amore con “Non Aspettavamo Altro”, se già nel 2006 sapevi che “Le Ombre” era una delle canzoni italiane più incredibili di sempre e oggi sai già che “24.000 Anni” è un brano talmente perfetto da mandare a memoria in un secondo. In “Mi Do Mi Medio Mi Mento” non si trovano “le voci” minori tanto di moda ai giorni nostri: Lele Battista se la vede con i più grandi che abbiamo avuto e abbiamo ancora in Italia. E anche se quella “evidenza” di cui sopra non accadrà mai, questo album è una nuova ed ennesima possibilità per chi vorrà di scoprire un artista unico e capace di arrivare lì dove la musica conta di più. Mi auguro non ci sia bisogno di dire dove.

5° Miglior album 2016: Merchandise – A Corpse Wired For Sound

Ecco un album che non troverete in nessuna classifica di fine anno. O per lo meno in quelle dei giornali e blog musicali più rilevanti. Del resto come la mia selezione ha dei criteri precisi, quest’ultimi avranno giustamente i loro. L’unica cosa che trovo un pò curiosa è questo senso di déjà vu: band passate in pochissimo tempo da eroi della scena “alternative” a gruppi pressoché irrilevanti. Probabilmente la capacità dei ragazzi di Tampa di vestire le proprie canzoni con abiti sempre diversi pur rimanendo fedeli a loro stessi non li ha aiutati in un momento in cui tutto sembra debba essere fagocitato il più velocemente possibile. Se non sei facilmente riconoscibile semplicemente non sei. Invece dopo la loro personale e riuscita interpretazione di un disco pop rock quale è stato “After The End”, Carson Cox e compagni hanno inabissato i nuovi brani nel rumore bianco dei “fuzz”, nel suono metallico dei synth, nella dura marzialità delle percussioni, nell’ombra di una voce sempre più cupa. Non riesco a trovare un brano preferito: David Vassalotti si diverte da una parte a stupire con chitarre che potrebbero appartenere ai fratelli Reid (“End Of The Week”), al sempre troppo poco ringraziato Will Sergeant (“Flower Of Sex”) e all’imprescindibile Johnny Marr (“Lonesome Sound”), e dall’altra parte, disegna nuove scenografie digitali figlie delle “nere celebrazioni” dei Depeche Mode (“Crystal Cage” e soprattutto l’immaginifica “Silence”) e dei lati più oscuri del synth pop (“Shadow Of The Truth”). C’è anche il tempo di rilassarsi nella ballata dolcissima “I Will Not Sleep Here” prima di perdersi nell’epico crescendo finale di “My Dream Is Yours”. Per me in top 5.

4° Miglior album 2016: Daughter – Not To Disappear

Ci sono band che suonano e ci sono quelle che creano mondi. La differenza tra le prime e le seconde può essere solo sperimentata, non spiegata. A Elena Tonra e i suoi Daughter è stato sufficiente una manciata di canzoni per creare un nuovo mondo dove io mi trovassi catapultato dentro. Io insieme a migliaia e migliaia di altre persone di ogni parte della terra. E ho la sicurezza che per tutti la risposta del perché ci siamo ritrovati in questo “altro” mondo è pressoché uguale: quando osservo il cielo, il mio amore, mia mamma, i figli, quando percepisco la solitudine, la mia e degli altri, quando mi scruto allo specchio, quando ti ascolto ma non riesco a sentirti, quando invece ti sento fin troppo li dove preferirei non ci fossi, quando sai che tutto sta ruotando senza che tu possa farci niente, oppure tutto si è fermato improvvisamente, ecco, la risposta è che Elena, Igor e Remi sono insieme a te. Per te. Come tutti noi. E allora preferisco non entrare nei dettagli dell’album “Not To Disappear”: mai come in questo caso l’unica cosa che serve è prendersi il tempo necessario, ascoltare le canzoni una per una, assecondare la musica e accettare che quella voce sta parlando proprio alla tua testa e al tuo cuore. Non importa se ci sono differenze con i lavori precedenti o tematiche nuove, una volta in quel mondo può solo sperare di scoprire tutto quello che esiste, sperimentare tutto quello che ha da offrire, viverne il suo tempo e la sua meraviglia. Invece per coloro che non sono riusciti ad entrarci il mio augurio sincero è che possano trovare un giorno qualcosa di altrettanto misterioso, profondo e totalizzante.

3° Miglior album 2016: James Blake – The Colour In Anything

James Blake non è di questa terra. O meglio non di come il nostro quotidiano ci obbliga la maggior parte delle volte a sentirci su questa terra. Ogni parola, ogni loop, ogni accordo porta altrove. La voce è sempre preghiera, sale fino al cielo e riscende al più puro dei silenzi. James Blake lacera la realtà più semplicistica, congela l’essenza del tempo e libera il cuore per le vette a cui è destinato. 17 canzoni, quasi 80 minuti di musica, un’unica ininterrotta invocazione a denudarsi senza vergogna, a relazionarsi intimamente con gli altri esseri umani e a cercare “il nostro fragile equilibrio” nella bellezza del creato. Il pensiero romantico nella musica del presente che si nutre già di tutto il futuro. Ossessivamente è necessario ripetere ciò che conta davvero. Le composizioni sono trame sintetiche ma sensuali dove ogni elemento è portatore di significato. Dopo di ché si può iniziare a vedere i veri colori delle cose che ci sono intorno, davanti e oltre noi. I colori delle persone amate, siano queste vicine o già lontane, abbracciate o dimenticate. “The Colour In Anything”, anything. Sono grato a James Blake di non essersi accontentato del suo ormai straordinario status quo: tutti lo vogliono e in molti ormai attingono a piene mani dal suo stile. Ma il ragazzo londinese è ben lontano dall’essere appagato come dimostra questo suo ultimo capolavoro che non fa che confermare la sua unicità nel panorama musicale mondiale.

2° Miglior album 2016: David Bowie – Blackstar

A praticamente un anno dalla sua scomparsa e esauriti in egual misura il cordoglio esagitato dell’ultima ora di molti e/o l’insopportabile ironia auto celebrativa della propria ignoranza di tanti altri, è forse arrivato il momento di calma necessaria per poter esprimersi sulla vita artistica del “Duca Bianco”. Ma poi pensandoci bene mi convinco che Bowie, come sempre, ci ha anticipato. A poche ore dalla propria dipartita “Ziggy Stardust” ha infatti rilasciato l’ultima istantanea destinata a rimanere nella memoria collettiva e che ha ribadito con compiutezza la sua essenza e unicità. “Blackstar” è un album che neanche per un secondo si compiace della lunghissima carriera dell’artista ma anzi testimonia la totale aderenza dell’autore al presente. Sperimentazioni elettroniche/orchestrali, ballate al color bianco, ricercatezze prog e frammenti noise, improvvisi segmenti jazz e la sempre essenziale melodia folk dov’è d’obbligo. Un’opera da sensazioni apocalittiche, oscura e riflessiva, dove la voce fa ancora impallidire chiunque per l’espressività e l’incidenza. “Blackstar” è allo stesso tempo testamento e futuro: David Bowie non è mai stato fermo in un solo posto per non più del tempo necessario, non ha mai lasciato che una maschera indossata potesse diventare tutta la sua essenza e soprattutto non ha mai permesso che un traguardo tagliato lo rallentasse o distogliesse da raggiungere il successivo. Fino a spingersi infine a quello più ambito e importante: l’eternità.

1° Miglior album 2016: Anohni – Hopelessness

Mai come in questo caso è praticamente impossibile separare la vita dell’artista dalla suo opera, la sua mutevole identità dalla sua molteplice creatività, le decisioni private dalle posizioni pubbliche. Antony è ora Anohni, il lato maschile ha abdicato in favore del lato femminile, l’illusione di una possibile redenzione ha lasciato posto all’insensatezza della violenza quotidiana. “Hopelessness” osserva la realtà con gli occhi delle vittime (e a volte per psicologia inversa con quelli dei persecutori). Riflessioni e racconti crudi, semplici e spietati. Droni che uccidono padri, madri e figli, la continua violazione del privato ad opera dello Stato o del puro voyeurismo, la terra costantemente tradita dai suoi abitanti, l’invettiva più esplicita e disillusa su Obama e la sua amministrazione, la rassegnazione “civile” alle torture e alla pena di morte, l’obbligata catarsi da un dolore potenzialmente inguaribile. L’impianto musicale travolge il contenuto: partiture elettroniche che sublimano ogni brano con continui incastri tra strutture complesse e armonie minimali. La voce, come sempre meravigliosa, fluttua e si “incarna” in ogni arrangiamento, in ogni battuta, in qualsiasi componente sintetica/orchestrale. Anohni si appropria della canzone politica e la rilegge alla sensibilità moderna. In questo 2016, “Annus Horribilis” personalmente parlando (non musicalmente, anzi), “Hopelessness” è senza dubbio il mio album manifesto: non è stato neanche necessario condividere tutte o solo alcune delle prese di posizioni di Anohni, è stato fondamentale ritrovare con straordinaria intensità la musica nel luogo che più gli compete: al centro del cuore per aiutarmi a capire, muovermi e percepire di non essere solo. Questo per me conta più del nobel, dell’x-factor e del divertimento. Questo è quello che mi auguro per il futuro della musica: tornare ad essere al centro della vita pulsante degli uomini. Come, del resto, è sempre stata fino a qualche anno fa. Buon 2017.

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