R E C E N S I O N E


Recensione di Aldo Del Noce

Un avvio in medias res è quanto cui siamo avvezzi in un progetto di Aruán Ortiz, disvelante ingredienti e dinamiche del lavoro; tuttora pervasivi i più caratteristici richiami ai segni afro-cubano-haitiani dominanti nel precedente album Inside Rhythm Falls (2018), la sequenza esordisce con la pressante, virulenta impulsività ritmica di Shaw ‘Nuff (Siento un bombo), curiosa e dinamica sintesi tra una hit a firma del tandem Dizzy Gillespie-Charlie Parker innestata su un’inquieta vena propulsiva di colore latino, molto caratteristica nella prima parte del brano, segnato da un incisivo lavoro della batteria da cui si discosta in parte la mano sinistra della tastiera, di suo capricciosa ed erratica, conducente ad un interludio d’impianto più disarticolato e di più aperto sentire free, chiudendosi con la cornice ritmica e coloristica dell’attacco.
Il pianista ed autore nativo di Santiago di Cuba, ora stanziale a Brooklyn dopo un periodo europeo, segna con Serranías | Sketchbook for Piano Trio il suo sesto apporto all’etichetta elvetica Intakt, riproponendosi dopo l’intero periodo pandemico (in cui aveva però segnato una qualche presenza entro il James Brandon Lewis quartet) per ribadire la peculiarità delle sue visoni e traiettorie, altamente partecipative entro l’arena neo-free nordamericana, ma certamente non dimentico di un’articolata formazione classico-tradizionale e non meno delle proprie radici.

Estrema sintesi su cui concorda il diretto commento introduttivo di Ortiz: “Nel nuovo album “Serranías: Sketchbook for piano trio” insieme al leggendario batterista John Betsch e al bassista Brad Jones, continuo a celebrare, reinterpretare e rivisitare l’eredità culturale della mia città natale, Santiago de Cuba, come ho fatto nelle registrazioni precedenti. Per questo album mi sono ispirato al poeta Jesús Cos Causse, al pittore Julio Girona, a generi musicali come changüi e guajiras, a motivi ritmici afro-haitiani e a canzoni “carnevalesche” come “Siento un bombo”. Ho integrato una varietà di stili che mi hanno influenzato e abitano naturalmente il mio processo creativo come la musica seriale, le tecniche di composizione classica, il jazz d’avanguardia e, naturalmente, le poliritmie”.  Quanto era in apparenza meno dichiarato in precedenti lavori quali Live in Zürich o Random Dances and (A)Tonalities, qui sembra riacquisire preminenza, ed in sostanza pervasività nella dinamica economia dell’album, ed a ciò sembrano concorrere anche i titoli della sequenza.

Introdotta in forma di spettrale carillon, En Forma de Guajira sfugge all’incasellamento ritmico ricercando un’espansione del proprio, inquieto spirito danzante; provocatoria e quasi enigmatica l’imbastitura di Memorias del Monte, abitata dai grappoli di note e dalle figurazioni ipnotiche della tastiera.
Dominante raccoglimento in Los Tres Golpes (dal pianista cubano ottocentesco Ignacio Cervantes), montante per drammaticità entro un clima chiaroscurale ed impressionista; il solistico Canto de tambores y caracoles spicca da subito non solo per angolosità e spettralità ma nel suo complesso per l’andamento “difficile” conferito ad un passaggio introvertito e ben poco concessivo, che in qualche modo spicca entro la sequenza per il carattere elusivo ed idiosincratico.

L’eponima Serranías (termine che definisce terreni di montagna), aprente su un asciutto solo a quattro corde, evolve verso geometrie sfuggenti, in cui i tre strumenti evitano ogni amalgama esprimendo uno straniante collage di vitree schegge sonore; Like a Changüi (Montuno) si riferisce ad una forma stilistica propria dell’area di Guantanamo, ripresa non letteralmente ed esposta con informale vaghezza.
Un paio di concisi interludi è aperto dalle sapide frenesie della nervosa Huellas… , completandosi nell’andamento ancor più concitato della proterva … and Shadows.  Catartico l’epilogo in Lullaby for the End Times, ricomposizione degli umori che con placida solennità, non priva di senso misterico, dichiara un’implicita riconciliazione con le tradizionali scansioni del piano trio.

Dalla generazione includente i David Virelles, Fabian Almazan o Roberto Fonseca, etc. (tutti comunque distinti per orientamento e stilemi) il Nostro seguita a caratterizzarsi per una personale ricerca, su questi solchi invitandoci ad un’appagante scorreria al confine dei filoni suddetti; in occasione del proprio cinquantesimo compleanno, nonché del ventennale della propria installazione negli USA, Aruán Ortiz rilascia un’ulteriore sintesi tra il sound nativo, i nuovi trends nonché la articolate ascendenze (non ultime le aperte influenze, da Monk a Cecil Taylor), rilanciando almeno in parte le ambizioni della propria progettualità, che tra i propri ingredienti enuncia personali tattiche (poli)ritmiche e rischio fraseologico.

Aruán Ortiz: pianoforte
Brad Jones
: contrabbasso
John Betsch
: batteria

Tracklist:
01. Shaw ‘Nuff (Siento un bombo)  9:58
02. En forma de Guajira  6:18
03. Memorias del Monte  5:10
04. Los Tres Golpes  8:27
05. Canto de tambores y caracoles (solo)  4:30
06. Huellas… (Interlude I)  1:34
07. Serranías  5:26
08. Black Like a Thunder Stone (one)  4:18
09. Like a Changüi (Montuno)  6:02
10. … and Shadows (Interlude II)  1:59
11. Lullaby for the End Times  5:27

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Aruán Ortiz su Intakt Records

Photo © Palma Fiacco