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Articolo di Fabio Baietti.

Le cattive strade è lo spettacolo teatrale scritto e interpretato da Andrea Scanzi e Giulio Casale che, nell’arco di novanta minuti, ripercorre la carriera artistica di Fabrizio De Andrè. La narrazione di Scanzi, alternata alle interpretazioni di Casale e alla proiezione dei filmati originali del cantautore ligure, racconta le folgoranti intuizioni e le idee rivoluzionarie di un intellettuale inquieto, scomodo e irripetibile. Quella che segue è la cronaca appassionata della serata appena trascorsa al Teatro di Varese.

“Il giorno è ipocrisia, la notte è poesia” (cit.) 

Scanzi e Casale mi hanno fatto da ciceroni, aiutandomi a scoprire qualcosa che andasse al di là del conosciuto, del già sentito sulla vita, artistica e non, di Fabrizio De Andrè. La notte come scenario preferito, lontano dalle menzogne del quotidiano, in cui si muovono i suoi (anti)eroi preferiti. Gli emarginati. Sotto qualsiasi spoglia si possano rappresentare. Siano drogati, carcerati, puttane, soldati senza gloria. Sempre su cattive strade

Una Genova tetra che profuma di bassifondi francesi, così cari al suo vate Brassens. Scanzi, abile narratore, dipana la matassa dell’evoluzione artistica di Faber. Evidenziando aspetti meno noti, timori, scelte fatte e critiche. Come quella subita da Gaber per l’amaro gusto che il risultato finale di Storia di un impiegato gli aveva lasciato in bocca. Sono coinvolto nel racconto delle sue paure (come quella di affrontare il pubblico nei concerti) e delle profondità del suo animo (l’aver perdonato i suoi carcerieri, ritenedoli essi stessi vittime con cui spezzare il pane e bere vino). 

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Il passaggio sulla perfetta veste sartoriale che alcuni musicisti (PFM, Pagani, Bubola) hanno cucito sulle sue parole è un passaggio chiave. Un cambio netto di stile musicale, parallelo a come cambiava il clima sociale in quegli anni in Italia. Perché l’evoluzione artistica di Faber attraversa passaggi epocali (come il ’68, gli anni di piombo, i fatui anni ’80), lasciando un segno indelebile. Rinnovandosi mentre gli altri cantautori restano al palo. Si affida ad una lingua antica e ad una musica moderna (fornita a piene mani da Mauro Pagani) per concretizzare il miracolo musicale di Creuza de Ma. Apre la finestra della propria ispirazione, fa prendere aria pulita alle stanze della sua arte. Il momento in cui viene trasmessa la versione live di Sidùn è da brividi. Lo scempio della guerra cristallizzato in un brano definitivo, assoluto. Riassunto di un tema crudo e spietato, di massa e intimo allo stesso tempo. 

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Anche l’amore entra in gioco, ovviamente. Con i tormenti e le difficoltà, a volte i drammi, di un’intimità spesso violata, piuttosto che con una dolcezza finta e piena di vuoto. Il racconto scorre veloce fino agli ultimi anni. La “regola” del 6, come gli anni trascorsi tra le sue ultime tre opere. Con la particolare annotazione per la Domenica delle Salme. La festa della gente che non può resuscitare in quanto “defunta prima di essere morta”. Un’umanità pigra, egoista, chiusa in se stessa. Specchio fedele degli anni che sarebbero di li a poco arrivati.

Sempre “sul pezzo” il Nostro. A dare alla serata la scintilla, la scossa sotto pelle, non poteva che essere la voce di Giulio Casale. Interpretazioni personali ma mai lontane dall’originale, mantenendo la poesia e il pathos di brani quali Teresa, Se ti tagliassero a pezzetti, Fiume Sand Creek, fino al bis di La guerra di Piero. In poco più di un’ora e mezza ho incontrato Edgar Lee Masters e i suoi epitaffi, la sua traduttrice Fernanda Pivano (“non è De Andrè il Dylan italiano, è Dylan il De Andrè americano”) e tante altre Grandi Anime che hanno accompagnato il cammino di Fabrizio De Andrè. Non è poco. Adesso vado a ripassare qualcosa, magari proprio Storia di un impiegato. Noblesse oblige…


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