I N T E R V I S T A


Articolo di Luca Franceschini

C’è un filone americano anche in Italia, sebbene la “roots music” di oltreoceano da noi sia poco frequentata e poco conosciuta, al di fuori dei soliti nomi giganteschi tipo Dylan, Springsteen, se va bene Neil Young, i quali vengono fruiti da un pubblico vasto ma che normalmente contestualizza e approfondisce poco.
La conseguenza è che quegli artisti che hanno fatto della cosiddetta “Americana” il territorio della loro vocazione, viaggiano su numeri bassi e suonano davanti ad un pubblico mediamente attempato.
Claudia Buzzetti è nata a Bergamo ma ha da sempre nel cuore gli ampi spazi del nuovo continente. Dopo aver deciso che non avrebbe fatto l’attrice, si è buttata anima e corpo nella musica e dopo una lunga gavetta è arrivata all’indispensabile traguardo del debutto discografico. 7 Years Crying, uscito a giugno per Edonè Dischi, la piccola etichetta legata all’omonimo locale bergamasco, è un Ep che parla il linguaggio del Country ma che incorpora al suo interno anche una discreta matrice rock. Lo ha registrato assieme agli Hootenanny, un gruppo di amici che da tempo gravitano attorno a lei, il cui membro più conosciuto è senza dubbio Luca Ferrari, batterista dei Verdena nonché del progetto Animatronic. Sarebbe però un errore accostarsi a questo lavoro solo per la presenza di un nome così importante: 7 Years Crying brilla di luce propria, merito di una scrittura di ottimo livello, ossequiosa al modello ma niente affatto di maniera, di una vocalità profonda ed espressiva e di arrangiamenti semplici ma funzionali a far risaltare le belle melodie di questi brani. Difficilmente se ne accorgeranno in molti, vista la situazione qui sopra delineata, ma ciò non toglie che Claudia sia un talento degno di essere scoperto.
L’abbiamo sentita al telefono per conoscerla meglio, farci raccontare qualcosa dei suoi inizi ed entrare maggiormente in queste sue prime composizioni.

Come e quando hai sviluppato la passione per la musica?
Parte tutto da quando ero piccola: i miei genitori hanno nutrito sia me che mia sorella con tantissima musica, di qualunque genere, hanno sempre cercato di allenare in noi una sensibilità artistica, emotiva, accanto a tutti gli altri doveri della crescita, dalla scuola ad altro. Adesso che studio Lettere mi rendo conto che queste sono componenti importanti, l’arte allena una parte dello spirito, è fondamentale per la formazione personale e per poter vivere in società. Non ho mai preso la musica come semplice canale di sfogo, come un semplice divertimento, ecco.
Prima della musica c’era il teatro però ad un certo punto mi sono staccata ed ho intrapreso il discorso musicale. Sono arrivata un po’ tardi, avevo 20 anni, è stato un po’ strano recuperare solo in quel momento tutto il discorso del rock e del punk (ride NDA)!

C’è stato un motivo particolare che ti ha spinto a cambiare?
È stata una decisione piuttosto naturale, per diversi anni le ho tenute come attività parallele, studiavo pianoforte, il canto non ho mai seguito un percorso specifico. È successo che mi sono accorta che il teatro è un ambiente molto difficile per cui ho deviato verso la musica.

Nella tua bio ho visto che menzioni un’esperienza negli Stati Uniti…
Sono stata tre mesi a New York nell’estate del 2019. Sono andata lì per un confronto più vicino coi miei modelli, in questa città leggendaria che volevo visitare in prima persona per vedere come fosse la scena, per verificare se fosse davvero così lontana così irraggiungibile per noi. Ho trovato una scuola dove insegnare italiano, anche se solo attraverso uno stage, e ho potuto fare un’esperienza immersiva e molto poco turistica nella città, mi sono anche buttata totalmente nel vedere musica dal vivo, soprattutto a Central Park in quel periodo c’erano concerti gratuiti tutti i giorni, tutte band pazzesche. E quando sono tornata a casa ho trovato il coraggio per pubblicare anch’io le mie cose.

Dalla passione per la musica alla decisione di scrivere canzoni il passaggio non è scontato, però…
In realtà ho sempre voluto farlo, ce l’ho in mente sin da quando ero piccola ma poi solo facendolo mi sono resa conto che scrivere canzoni in realtà è molto difficile. Poi sono molto perfezionista ed esigente: una cosa prima di uscire deve soddisfarmi al 100% per cui c’è voluto un pochino. Le canzoni comunque sono nate spontaneamente, a casa, con la chitarra, registrando sempre quel che faccio e riascoltandolo. Ho visto che è un metodo molto efficace, lo usano molto i Verdena, per esempio, che registrano qualsiasi cosa e da lì prendono le varie idee.

I brani nell’Ep appartengono a vari momenti del tuo passato? E perché proprio il Country, come elemento principale?
Le ho scritte in quattro anni, dal 2015 al 2020 circa. Sono nate Country perché è il genere su cui ho imparato a suonare la chitarra, con artisti come Hank Williams e Willie Nelson.

È strano perché dalle nostre parti non è che sia un genere così popolare…
Ho deciso di imparare a suonare la chitarra su quel genere, quindi direi che è stata una scelta voluta. L’ho scoperto a 18 anni e mi si è aperto un mondo, io prima quando pensavo al Country pensavo a Johnny Cash, poi ho scoperto che c’è tutto un insieme di artisti incredibili, anche qui in Italia, dove pure non è un genere molto popolare, ci sono grandi artisti come Veronica Sbergia e Max De Bernardi. Come italiani tendiamo molto a sminuirci, dovremmo imparare ad essere più fiduciosi e a valorizzare quello che facciamo, prendendo spunto dagli americani che ci credono tantissimo. Ecco, io quello che punto è proprio entrare in questo circuito della musica Country, uno dei miei modelli attuali è Sierra Black, che è molto giovane ma che sta iniziando ad esplodere in America ed ha un seguito veramente vasto.

Un titolo come “7 Years Crying” è piuttosto indicativo del contenuto di queste canzoni: nascono da un periodo di sofferenza?
Un po’ sì, nel senso che gli ultimi anni sono stati bizzarri, tribolanti, pieni di cose, di alti, di bassi, di qualche piccola tragedia ma comunque è la vita, no? Dobbiamo tutti lavorare, pagare le tasse, queste sfighe orribili (ride NDA)! Mi piaceva anche molto il modo in cui suona questo insieme di parole, come si srotola mentre lo pronunci; inoltre è un concetto puramente Country, loro insistono molto su questo tema della sofferenza.

Che mi dici invece della band che ti accompagna?
Gli Hootenanny sono miei amici, anche se tra di loro non lo erano così tanto, li ho messi insieme io, si sono conosciuti tramite me. Il bassista, Valentino Rovelli, piuttosto conosciuto qui a Bergamo, è dentro anche nella gestione del Druso (uno dei locali storici della città NDA) e conosceva già tutti. Il chitarrista, Thomas Pagani, è un chitarrista Jazz e ci eravamo visti in varie situazioni, io sono innamorata della sua chitarra, del suo suono, che secondo me si sposa totalmente col mio genere. Per quanto riguarda Luca invece, le canzoni sono nate quando lui era lì, era parte della mia vita, era lì in camera con me: è stato naturale, la domenica pomeriggio ci siamo sempre visti a suonare insieme, è stato quindi spontaneo chiedere a lui. Ho voluto fare una band di amici, anche per avere l’appuntamento fisso, la giornata settimanale per fare le prove, un’esperienza che non ho mai fatto durante l’adolescenza.

Dal vivo ci saranno sempre loro?
Questa è una domanda interessante (ride NDA)! La formazione sarà questa e abbiamo in programma delle date, in Italia ma speriamo qualcosa anche all’estero in futuro. Saremo noi, ovviamente dovremo vedere con gli impegni di tutti e anche come funzioneranno i rapporti tra noi, una volta che saremo in giro…

Bisogna dire che la scena di Bergamo è un qualcosa di molto particolare in Italia: ci sono tantissime band, locali, etichette… il tutto all’interno di una grande atmosfera di affiatamento e collaborazione…
Lo dicono in tanti! Sono contenta di questa cosa! C’è un fermento underground molto forte rispetto ad altre città e poi devo dire che non ci pestiamo per niente i piedi, siamo molto solidali tra di noi.

“Mr. Hyde”, che apre il disco, è un pezzo molto classico e credo possa fungere bene anche per inquadrare al meglio il tuo progetto, non trovi?
È una canzone d’amore un po’ nostalgica, parte dal tema amoroso, dall’incontro tra due persone ma poi il protagonista dice: “Non cambierò più per amore, non voglio più essere una persona che non sono”. È un concetto legato forse al periodo in cui ero quando l’ho scritta, a 23-25 anni stavo pensando molto alla mia vita, allo sposarsi, al cambiare tutte le circostanze. L’amore poi è un tema universale, sia per il Country che per qualsiasi genere. C’è l’amore, la nostalgia, la promessa, un po’ di pathos e tragicità: tutti ingredienti che la rendono una perfetta introduzione al disco, è vero. Parla di questi due ragazzi che si incontrano in un bar e anche il fatto che ci sia un bar la rende molto Country, è un altro elemento tipico, i personaggi di queste canzoni sono tutte persone che bevono (ride NDA)…

“Harlem”, che è uscita come primo singolo, è invece un pezzo più stratificato, più aperto come spettro di influenze ed anche quello che mette maggiormente in luce la tua abilità di scrittura. Può essere spia di un allargamento di influenze, magari in futuro?
Le canzoni vengono fuori da sole, prendo quello che arriva, poi in sala prove ci mettiamo mano insieme e vediamo un po’ cosa fare. Parto dalla Country Music, dal Jazz ma poi sono aperta, se dovessi per dire scrivere un pezzo Trap non credo che avrei problemi, per me i generi vanno bene tutti, basta che il pezzo sia di qualità. Non ci sono separazioni o limiti, per me, è tutto molto interdisciplinare, di solito sono molto elastica, anche nel rapportarmi con le diverse forme artistiche. Poi secondo me in Italia abbiamo un pubblico esigente, è importante scrivere cose valide altrimenti ti scartano subito! Ma credo che la cosa più importante sia essere sinceri: se sei sincero il pubblico se ne accorge sempre e ti premia.

Mi ha colpito molto anche “New York Walk”: normalmente alla fine di una tracklist si mette un brano più in minore, magari acustico, mentre invece tu hai chiuso con una botta di energia…
Non ero molto convinta di inserirla ma alla fine mi piaceva così tanto che l’ho messa dentro. È stato un po’ un esperimento, non è un pezzo Country ma come ti dicevo è uscito da solo. L’andamento è allegro ma il testo è una bella mazzata: parla del peso del passato come un qualcosa che cambia il presente ed il futuro, un passato che ho personificato nella figura del diavolo che entra nella tua testa, legato anche ad un discorso di invasamento; nel pezzo è rappresentato da quest’uomo con l’impermeabile nero che ti segue per strada. C’è un’atmosfera un po’ a la Hitchcock e questo mood un po’ Dark si sposa comunque con l’ambiente Country perché anche loro hanno questo tipo di canzoni, tipo Murder Ballads o cose così.

Per finire, cosa mi dici dei concerti?
Come ti dicevo, stiamo organizzando il nostro primo affacciarsi sul mondo live, a breve usciranno le prime date sui Social. L’Ep è uscito per Edonè Dischi, che sono questi ragazzi di Bergamo che hanno creato un’etichetta e con cui ci conosciamo da tempo. Nel live ovviamente suoneremo tutta un’altra serie di canzoni che ho già scritto e che presto butteremo fuori in un altro disco, anche se non so ancora che forma avrà.