R E C E N S I O N E


Recensione di Andrea Furlan

Il cammino musicale di Fabrizio Poggi, artista di prim’ordine nel panorama blues italiano, ha radici profonde e sigla quest’anno il ventiquattresimo album di una lunga carriera cominciata nei primi anni ‘90 con i suoi Chicken Mambo. Tante le soddisfazioni raccolte – su tutte la nomination ai Grammy Awards del 2018 che gli ha fruttato un secondo posto dietro ai Rolling Stones di Blue & Lonesome – i palchi prestigiosi che lo hanno visto protagonista e le collaborazioni con i più bei nomi del blues, del rock e della musica d’autore. Con il suo “violino dei poveri”, come definisce l’armonica a bocca, strumento di cui è stimato solista a livello internazionale, particolarmente apprezzato negli Stati Uniti, diffonde il verbo del blues con inesauribile passione. All’attività strettamente musicale ha affiancato anche quella di divulgatore scrivendo alcuni coinvolgenti libri sull’armonica e la storia del blues dal taglio quanto mai narrativo.

Poggi è una persona gentile, pacata e sensibile, dotata di un particolare carisma che rende i suoi concerti un’esperienza unica. Le sue qualità umane e artistiche si estrinsecano così in opere musicali ricche di significati profondi, condotte lungo i binari dell’empatia e della compassione, che avvolgono l’ascoltatore in un abbraccio volto a lenire i dolori dell’anima e le sofferenze che spesso sono lo specchio della vita.

Hope è innanzitutto un messaggio di speranza, il rifiuto di arrendersi alle avversità e alla paura che spesso si insinua in noi come un male oscuro, impedendoci di vedere la luce. Non camminiamo da soli, insieme possiamo (e dobbiamo) farcela: per quanto il cammino sia difficile e irto di ostacoli, l’invito è quello a non scoraggiarsi, a non perdere mai la fiducia. Il libretto cita una frase dal film Le ali della libertà: «la paura può farti prigioniero, la speranza può renderti libero». Non si può che essere d’accordo, soprattutto in tempi così così complicati.

Hope, scritto e arrangiato a quattro mani insieme al compositore e pianista Enrico Pesce, segna un ulteriore traguardo nell’evoluzione artistica di Poggi, trasformazione del resto in parte già avvenuta nel precedente For You. Superati i consueti canoni del blues tradizionale (di cui peraltro Poggi è validissimo interprete), lo spettro sonoro guadagna una dimensione per così dire senza tempo in cui antico e moderno si intersecano aprendosi a nuove possibilità e sperimentazioni. Nasce così una sorta di blues “da camera” in cui l’eccellente pianismo di Pesce attinge sia al jazz che alla classica, avvolge con dovizia di colori e spunti lirici la vocalità distesa e rilassata di Poggi e prepara il campo ai preziosi interventi dell’armonica capaci di infondere momenti di autentica magia. Ecco che il “soffio dell’anima” (altra bellissima definizione prestata dal titolo di un suo libro) dispensa emozioni che entrano sottopelle con discrezione e trasmettono una piacevolissima sensazione di serenità.

Opera di grande sensibilità, Hope si compone di quattro brani originali e un’oculata scelta di cover che vengono rilette dal duo con particolare personalità. Il risultato è una vera e propria marcia musicale per i diritti civili – tema molto caro a Poggi, da sempre linea guida nella sua vasta discografia – che scandisce i tempi di un salvifico viaggio verso la libertà.

Il brano iniziale è irresistibile: il traino gospel di Every Life Matters, uno degli autografi, entra immediatamente nel vivo e definisce i contorni entro cui si svilupperà il resto del disco. La melodia è particolarmente ispirata e Poggi dà il meglio sé, affiancato alla voce da Sharon White (corista per molti anni di Eric Clapton) che si esibisce in una prestazione vocale di assoluto rilievo. Incontreremo la White anche in I’m Leavin’ Home, scritta da Poggi, una danza cantata in cui le parole vengono reiterate come un mantra e il dialogo serrato tra i due segue il tradizionale “ring shout”, il tutto sorretto dalle suggestive evoluzioni del pianoforte.

Dicevamo della contaminazione tra antico e moderno, tra jazz e musica classica, calza quindi a pennello la versione in chiave blues di una celeberrima aria per soprano del ‘700, Lascia ch’io pianga tratta dal Rinaldo di Georg Friedrich Händel, che diventa Leave Me To Sing The Blues. «Lascia ch’io pianga mia cruda sorte e che sospiri la libertà» si lamenta Almirena, rivolta al suo carceriere, nel Rinaldo, «lasciami piangere di dolore durante il mio lungo viaggio verso la libertà» rilancia Poggi, immedesimandosi nel canto proveniente da un campo di cotone, o da qualsiasi luogo dove la sofferenza è alleviata solamente dalla speranza di una vita migliore.

Le toccanti interpretazioni dello spiritual Motherless Child, che ospita alla voce la brava Emilia Zamuner (artista napoletana che si sta rivelando tra le più interessanti del jazz italiano), di Hard Times (composta nel 1854 da Stephen Forster, conosciuto come il padre della musica americano), di Goin’ down the road feelin’ bad, non fanno che ribadire la bontà di una proposta qualitativamente elevata. La carica emozionale dell’intermezzo strumentale My Story, composizione di Enrico Pesce tratta dalla colonna sonora di un suo cortometraggio, introduce l’ultima parte del disco dove fa bella mostra di sé l’inaspettata versione di The House Of The Rising Sun cui seguono la rarefatta lettura di I Shall Not Walk Alone di Ben Harper e l’intensa “slave song” Nobody Knows The Trouble I’ve Seen (Poggi nel libretto ricorda che nel film Paisà di Roberto Rossellini un soldato di colore la canta accompagnato all’armonica da uno scugnizzo italiano). Chiude il cerchio l’adamantina bellezza di Song Of Hope che ancora una volta ci stringe in un confortante abbraccio: «quando ti sentirai solo, triste e amareggiato, suonerò questa canzone per te».

Hope è decisamente convincente, ricco di idee e connessioni, confezionato con pregevole cura da Fabrizio Poggi ed Enrico Pesce. L’inedita collaborazione tra i due ha dato vita ad un ottimo album, ispirato ed emozionante, che tocca temi di assoluta attualità e li esprime con profondità senza rinunciare a quella apparente semplicità che sa arrivare dritta al cuore. E quando la musica arriva dritta al cuore è, semplicemente, grande musica, tanto più quando è messaggera di compassione e fratellanza.

Tracklist:
01. Every Life Matters
02. Leave Me To Sing The Blues
03. Hard Times
04. Motherless Child
05. Goin’ Down The Road Feelin’ Bad
06. My Story
07. I’m Leavin’ Home
08. The House Of The Rising Sun
09. I Shall Not Walk Alone
10. Nobody Knows The Trouble I’ve Seen
11. Song Of Hope