I N T E R V I S T A


Articolo di Lucia Dallabona

Vi abbiamo già presentato Giulia Damico (qui un’intervista), giovane artista torinese attiva in ambito jazz. Dotata di un talento che ha sviluppato fin da ragazzina, spazia con naturalezza fra il canto e la scrittura sia di musica che di testi. Il suo è un percorso formativo di notevole maturità che l’ha portata ad approfondire svariate materie quali: la composizione, l’arrangiamento, il contrappunto, l’armonia classica, la poesia e letteratura per musica, l’elettroacustica, nonché tecniche di registrazione, e software. Tra i suoi lavori discografici ricordiamo l’album omaggio a Thelonious Monk Sperical Perceptions e un EP di musica in solo voce ed elettronica Jala. Un’anima femminile insaziabilmente curiosa l’ha guidata anche nella scelta del progetto al centro del suo nuovo disco; Sympatheia, in uscita a breve, si preannuncia ricco di contenuti stratificati ed altrettanto interessanti.
In concomitanza con l’uscita del singolo Non colpito, abbiamo contattato Giulia per realizzare un’intervista che ci permetta di comprendere meglio l’essenza di un nuovo capitolo di crescita sia musicale che personale.

Cominciamo dal titolo del tuo nuovo disco; Sympatheia è una parola di origine greca, puoi spiegarcene il significato e raccontarci di conseguenza perché l’hai scelta?
Sì, il mio disco si chiama Sympatheia e uscirà il primo luglio per l’etichetta PLAY & Oracle records. La scelta del titolo è stata il frutto di una sinergia di pensieri condivisi. Alle volte mi piace prendere delle scelte condividendo i miei pensieri e facendo interagire le idee per un obiettivo comune.
Altre volte mi capita invece di avere un’idea e volerla seguire d’impulso.
Per quanto riguarda la scelta del titolo dell’album avevo delle intuizioni ben precise, molte a dire il vero, e avevo bisogno di una parola che le racchiudesse tutte e quante. Volevo anzitutto una sola e unica parola, con un bel suono e significato, la volevo in una lingua che si avvicinasse il più possibile alle mie radici culturali e volevo che esprimesse la relazione che c’è fra tutte le cose, dal micro al macro, dal lavoro personale che ognuno è in grado di fare individualmente e che influisce su tutti e tutto ciò che ci circonda. In questo, per la decisione finale, ha avuto un ruolo decisivo uno dei membri del gruppo che sentirete dentro l’album e di cui parlerò più avanti in questa intervista alla quale ho il grande piacere di partecipare.

Ciò che condividi, tramite la nuova pubblicazione, è un viaggio in cui la musica si mostra strettamente connessa col lato spirituale delle persone. In particolare ho letto che sei stata ispirata dagli studi riguardanti il Nada Yoga. Come si articola questa pratica e in che modo hai pensato di coniugarla al tuo percorso artistico?
Questo album è nato durante un periodo particolare, che tutti conosciamo molto bene. In quel periodo ho avuto modo di tirare fuori le idee e metterle su carta scrivendo molta musica e arrangiamenti.
Ma non solo, ho avuto anche l’opportunità di fermarmi a riflettere e approfondire le tecniche di Nada Yoga dopo aver ottenuto il diploma in questa disciplina rilasciatomi dopo gli studi con Riccardo Misto, allievo e discepolo di Vemu Mukunda. Immagino sia chiaro a quale periodo mi stia riferendo ma per chiarezza sottolineo il fatto che si trattava dei due anni di emergenza a causa della pandemia di COVID-19.
Per me è stato abbastanza naturale voler unire i due percorsi, anzitutto perché il Nada Yoga è basato sulla musica e sul suono. Non posso dilungarmi troppo su questo argomento perché sarebbe davvero molto difficile da sintetizzare e avrebbe bisogno di un approfondimento diverso, ciò che posso dire è che mi ha sicuramente aiutata. Aggiungo che si basa sulla musica indiana, vengono usate le scale musicali, i ritmi e tutto ciò che riguarda questa cultura. Di conseguenza ho voluto mettere su carta questo percorso personale all’interno di quelli che vengono chiamati punti energetici del corpo, che corrispondono a specifici colori e funzioni. Ho personalmente tradotto queste funzioni in una sonorità occidentale e jazzistica utilizzando le conoscenze apprese. Inoltre aggiungo che, a mio modesto parere, la musica indiana e la musica jazz hanno una grande affinità legata soprattutto dalla forte componente improvvisativa.
Infine, la musica indiana è vissuta in modo strettamente collegato al lato spirituale e di sensibilizzazione percettiva ed è questo il mio modo di vivere l’arte, come strumento di riflessione utile per il bene di tutti nonostante tutto.

Dall’album fino ad ora sono stati estratti tre singoli: Ripple Waves, Monkshood e Non Colpito. Vuoi incuriosirci tu all’ascolto descrivendocene le loro peculiarità?
Con piacere! Non Colpito è stato pubblicato proprio oggi, venerdì 3 Giugno, è possibile ascoltarlo dal link YouTube dove si può anche vedere il canvas creato dalla bravissima artista torinese Deborah Catanese che ho incaricato di occuparsi di tutte le grafiche. Non colpito è sinonimo del cuore, che batte senza essere percosso. Il ritmo terzinato è ciò che lo caratterizza, è un punto molto importante perché collega tutti gli altri e lo fa con la forza coraggiosa e gioiosa del ritmo. Monkshood è formata da un’improvvisazione condotta da me, gli ambienti sono più eterei e impalpabili poiché è collegata ai centri più vicini alla mente e Ripple Waves è il punto azzurro della comunicazione. In questi brani ci sono 3 elementi che differenziano il mio lavoro, partendo dai testi che ho scritto in italiano su Non colpito, in inglese su Ripple Waves e Monkshood che invece non ha volutamente un testo. Rappresentano anche le 3 differenti vie che ho voluto inserire per le improvvisazioni.

Il tuo repertorio è formato da parti scritte e da improvvisazioni condotte in prima persona. Quanto è importante, per l’ottimizzazione del risultato finale, il lavoro “di squadra” con la band che ti accompagna, ovvero Sergio Chiricosta al Trombone, Viden Spassov al contrabbasso, Carmelo Graceffa alle batterie ed effetti elettronici? 
Unirsi nel lavoro di squadra è stato fondamentale. Io ho avuto l’opportunità di poter collaborare con questi meravigliosi musicisti che hanno accolto con grande rispetto, professionalità e amicizia umana la mia musica.
Ma non solo, dentro al lavoro di squadra ci sono state altre figure importantissime che hanno messo le loro energie per far sì che questo lavoro potesse crescere e nascere.
Parlo anzitutto di Fabio Giachino che mi ha sicuramente incentivata a credere nel lavoro che stavo facendo ed è stato un onore per me dato che oltre a essere ritenuto uno dei maggiori talenti pianistici di jazz è anche un abile producer che mi ha aiutato in varie fasi del lavoro.
Per esempio è stato lui a consigliarmi di rivolgermi a Stefano Pedone per la delicata parte del mix & mastering del disco. Stefano ha fatto un lavoro coi fiocchi ed è stato semplice capirsi, infatti abbiamo in conto di collaborare nuovamente insieme per altre idee.
Ci sono stati la già citata Deborah Catanese che si è occupata delle grafiche, Matteo Boltro che ci ha ritratto nelle sue splendide foto e, in ultimo ma non per importanza, l’etichetta londinese PLAY & Oracle records che ha co-prodotto e distribuito il disco con professionalità e riguardo per la musica. Anche da questo punto di vista ci sono nuove collaborazioni in vista oltre a quelle passate con Michele Garruti.
Inoltre, come avevo anticipato prima, è stato fondamentale avere un clima di interesse da parte di tutta la band in cui ogni musicista ha messo la propria abilità e ingegno per la riuscita delle registrazioni dove Sergio Chiricosta suona magistralmente il trombone, Viden Spassov ci delizia col suo suono abile di contrabbasso e Carmelo Graceffa suona con maestria ed energia le batterie…oltre a essere stato lui a darmi l’input per il nome del disco, Sympatheia!
Non posso che ringraziare infinitamente tutti.

Con la stessa formazione vi presentate in due versioni: quella acustica e quella elettronica. Ce n’è una che preferisci e perché?
Interessante domanda!
Nella realtà non ho una versione preferita. Si tratta di dare valore e continuità ad entrambe le sonorità, quella acustica, utilizzando il suono dello spazio che ci circonda e quella elettronica, utilizzando quella degli strumenti elettronici.