R E C E N S I O N E
Recensione di Mario Grella
Cominciamo dal Pink Dolphin e non solo perché è il titolo o perché è raffigurato in maniera psichedelica e naif sulla copertina del disco (continuo ostinatamente a chiamare disco ogni prodotto musicale anche su altri supporti), ma anche perché è una creatura incredibile, nel senso che è difficile credere alla sua esistenza e, non so perché, mi sembra somigliare molto a Jaimie Branch. Un delfino di acqua dolce che vive (almeno per ora) e risale i fiumi dell’Amazzonia. A dire la verità Jason Nazary e Jaimie sembrano anche loro essere “bestie rare“: entrambi hanno una “militanza” nella musica e nella cultura punk ed entrambi sembrano “pesci fuor d’acqua”. Sì, lo so il delfino è un mammifero, ma diversamente la metafora non stava in piedi. Nuotano in acque che stanno tra il jazz e qualcos’altro, anzi tra qualcos’altro e il jazz, ma questo importa solo a chi vende i dischi e non sa dove collocare lo splendido Pink Dolphins loro ultima fatica, con Jaimie Branch alla tromba, elettronica, percussioni e voce, Jason Nazary alla batteria e synth e Jeff Parker al basso e chitarra. L’antilope è un’altra creatura che per ragioni diverse attrae i due musicisti, che detto per inciso saranno al Teatro dell’Arte di Milano il prossimo ottobre. L’antilope è meno socievole del delfino, ma è anch’esso un animale gentile.

Passando dalle metafore e dalle idealità all’ascolto abbiamo due strade davanti: quella di verificare se questi concetti si sposano logicamente con i suoni, oppure un’altra che consiste nel prendere atto delle dichiarazioni di intenti e poi ascoltare la musica con la sua autonomia del significante, come direbbe un semiologo. La prima strada affascina sempre perché quasi tutti vogliono un rispecchiamento della musica in una spiegazione in termini concettuali. Anch’io cerco di percorrerla, ma dopo averla percorsa, trovo sempre che le spiegazioni siano suggestive ma arbitrarie, mentre la seconda strada, quella dell’ascolto “disinteressato”, apre sempre nuovi scenari e nuove prospettive. Questa teoria è corroborata subito dal primo brano dal titolo Inia, soprattutto per il bell’impatto del synth, rafforzato dall’elettronica e dalla tromba essenziale di Jaimie. Ed è proprio questo il punto nodale: elettronica, batteria e tromba sembrano costituire un apparato per la costruzione della poesia sonora. È lo stesso Nazary ad ammettere che sono i territori aperti dall’elettronica a determinare l’estensione delle possibilità poetiche della musica. Ascoltando Delfin Rosado (versione latina di pink dolphin) questa impressione non può che trovare conferma: mentre la tromba di Jaimie racconta una storia immaginaria, l’ordito ambiental-sonoro del sintetizzatore, dell’elettronica e della batteria, sembrano costituire una scenografia immaginifica ai ricami della tromba. In Earthlings, con Chad Taylor alla mbira che rende il contesto decisamente più dolce ma con meno chiaroscuri, entra in scena la voce di Jaimie Branch che sa di jazz caldo, ma anche di quella sperimentazione vocale che negli USA vanta una poderosa tradizione che va da Laurie Anderson a Meredith Monk, per citare due estremità. Una voce così poco terrestre, al di là del titolo, e che sembra la prosecuzione delle sonorità trombonistiche con altri mezzi. Earthlings è un po’ il cuore di tutto il lavoro con quei versi ripetuti e continuamente variati “Make you/Make sense/It Makes Sense” che sembrano il mantra di uno sciamano alla ricerca del significato di tutta la nostra esistenza, un brano scritto dopo la morte violenta di George Floyd e forse anche suggestionato da un’altra triste circostanza come la morte di Elza Soares, regina della samba brasiliana, con la chitarra elettrica di Jeff Parker in bella evidenza. Poi Baby Bota Halloceanation che è un magnifico “canto strumentale” alle creature “acquadeliche” del Rio delle Amazzoni e nello stesso tempo una ricerca sulla profondità del suono (anche del suono), con il magnifico richiamo della tromba di Jaimie Branch alla voce dei delfini. L’album si chiude con On Living Genus, uno sfrenato “carillon elettronico”, fatto di superfici piane e di improvvisi singulti ed incursioni temporanee della tromba e con uno stupendo e semi-infinito finale in calando, dove lo strumento sembra contorcersi fino al suo spegnersi dentro echi che sanno sempre di natura profonda. Ricordo Jaimie Branch nell’autunno del 2018 in un concerto di NovaraJazz “winter edition” e la ritrovo, con grande piacere, ora in questo magnifico lavoro, uscito lo scorso 17 giugno, già troppo tardi per non averla ancora ascoltata. Copertina del lavoro disegnata dalla stessa musicista a dimostrazione di quanto vero e sentito sia questo suo album.
Tracklist:
01. Inia
02. Delfin Rosado
03. Earthlings
04. Baby Bota Halloceanation
05. One Living Genus
Photo © Tim Saccenti
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