R E C E N S I O N E


Recensione di Barbara Guidotti

Mettersi all’ascolto di Ama il prossimo tuo come te stesso, il primo album da solista di Manuel Agnelli (uscito il 30 settembre scorso), significa entrare nelle spire avvolgenti di un viaggio notturno che conduce nell’immaginario e nei pensieri di un artista al di fuori di qualsiasi filone mainstream, sia per l’uso che fa della parola che per la scelta delle sonorità e del modo di sviluppare i temi che si snodano attraverso i dieci brani che compongono il suo lavoro (l’ultimo brano è la title track). Nato durante l’isolamento forzato del lock down (che ha avuto forse tra i pochissimi meriti di costringere la creatività a giocarsi su piani inediti), il disco si svela all’ascolto con un’intensità che sorprende ed emoziona, disegnando un percorso in cui il senso del vissuto individuale si intreccia con una riflessione più ampia e a tratti amara dei nessi con l’altro e con il mondo.
Il tutto su basi musicali che spaziano dall’utilizzo di strumenti ortodossi e orchestrazioni complesse e raffinate a quello di sonorità ricavate da oggetti della vita quotidiana impiegati come strumenti non convenzionali.

Nei testi si avverte una matrice classica, a partire dal brano che ci accoglie: nella ballata Tra mille anni mille fa riecheggia infatti, nella scelta degli aggettivi, un’impossibilità di sottrarsi alla presenza dell’altro che evoca il destino, la “necessità” così come la intendevano i Greci (“perché sei inevitabile“). Quello che conta è non smettere di sentire, non rassegnarsi a non provare più niente (“se non provi niente prova me, se non cerchi niente trova me”), ribellandosi a chi cerca di appropriarsi del nostro mondo, e invade il nostro spazio cercando di colonizzarlo con le proprie idee: quei Proci che meritano solo rabbia e disprezzo, espressi con parole dure che diventano invettiva aspra senza possibilità di appello.
E poi, come a stemperare lo sfogo, il ritorno alla dolcezza (Milano con la peste), alla consapevolezza che quello che ci appartiene davvero è dentro di noi, nella forma del sogno o del pensiero che ci abita la mente (“non ti ho mai lasciato andare veramente, non ti ho mai avuto che nella mia mente”). Il ricordo annulla gli effetti della malattia, evoca i sapori e gli odori e li rende vivi e presenti ai nostri sensi (Lo sposo sulla torta), ci mette di fronte alle contraddizioni che – agitando i nostri sentimenti – li pongono fuori sincrono.
In tutto questo, si affaccia l’ombra di qualcosa di più grande e incombente, la guerra (Severdonetsk), che proietta e trasfigura il conflitto interiore fra bene e male facendone una tragedia che si manifesta nel mondo e uccide la libertà (“c’è chi serve qualcosa e chi serve qualcuno”), mentre noi rimaniamo come spettatori perlopiù indifferenti a vivere le nostre vite al di qua dello schermo (Guerra e pop corn).
Quello che abbiamo dentro e quello che viviamo al di fuori si intreccia e si esprime nelle mille contraddizioni di un’esistenza che si struttura su un’unica certezza: “non puoi scappare da quello che sei” (Pam pum pam), da quello che intravedi nella Profondità degli abissi una volta smascherati i mille travestimenti con cui si cerca di camuffare la verità.

Ma cosa resta, alla fine? Cosa ci salva, se non quel segreto che custodiamo dentro, quell’invincibile aspirazione a “qualcosa di grande”, quello che ci fa sentire vivi al di là della paura? Quello a cui solo noi possiamo dare un nome, qualunque esso sia.

Tracklist:
01. Tra Mille Anni Mille Anni Fa
02. Signorina Mani Avanti
03. Proci
04. Milano Con La Peste
05. Lo Sposo Sulla Torta
06. Severodonetsk
07. Guerra E Pop Corn
08. Pam Pum Pam
09. La Profondità Degli Abissi
10. Ama Il Prossimo Tuo Come Te Stesso