R E C E N S I O N E


Recensione di Mario Grella

Il numero di novembre del mensile Musica Jazz ha regalato ai suoi lettori il cd firmato Jonathan Coe & Artchipel Orchestra, diretta da Ferdinando Faraò. È piuttosto singolare che in una jazz band sia ospite (quasi) fisso uno scrittore ed è ancora più singolare, che i pezzi di un disco jazz siano composti da uno scrittore. Un connubio che, oltre ad essere singolare ed originale, offre risultati musicali di primissimo piano. Certamente gran parte del merito di questa operazione è del poliedrico direttore dell’Artchipel Orchestra, Ferdinando Faraò appunto e dei suoi musicisti ovvero Marco Fior alla tromba, Alberto Bolettieri al trombone, Rudi Manzoli al sax soprano, Andrea Ciceri  al sax alto, Germano Zenga al sax tenore, Rosarita Crisafi al sax baritono, Alberto Zappalà clarinetto basso, Carlo Nicita al faluto, Paola Tezzon al violino, Jonathan Coe alle tastiere, Luca Pedeferri alla fisarmonica, Luca Gusella al vibrafono, Giuseppe Gallucci alla chitarra, Gianluca Alberti al basso elettrico, Stefano Lecchi alla batteria, Lorenzo Gasperoni alle percussioni, Naima Faraò e Francesca Sabatino, voci. Uno scrittore che abbia nello studio un pianoforte, non è poi così strano, più strano è, invece, che lo scrittore il piano non solo lo suoni, ma ci componga pure dei brani.

Visto dal vivo (ricordiamo che questa è una registrazione effettuata nel 2021 presso il Teatro dell’Arte di Milano nell’ambito di JazzMi), Jonathan Coe, ha l’aspetto di un compassato signore, tutto “British Style”, sempre concentrato sullo strumento, quasi incurante di ciò che accade attorno; e quello che accade attorno è tutt’altro che insignificante. Ma, mano mano che la musica inizia a farsi trascinante, Coe si lascia coinvolgere dal vigore e dal vitalismo delle sue stesse composizioni. Dove collocare la musica dello spumeggiante ensemble di Ferdinando Faraò? Bisognerebbe, in realtà, porsi una domanda preliminare: è proprio sempre necessario “collocare” un disco o un autore in una precisa casella? Non lo è, ma spesso è opportuno farlo, non tanto nel momento dell’ascolto, ma piuttosto nel momento in cui si tenta di tradurre un’arte a-semantica come la musica, in una espressione concettuale, come può essere una recensione o un commento scritto. E allora, non per “furia catalogatoria”, ma solo per far intendere a chi legge di cosa stiamo parlando, le composizioni di questo disco potrebbero tranquillamente navigare nel “mare magnum” del jazz contemporaneo, ma con moltissime escursioni nei mari interni del “progessive rock” della scena di Canterbury degli anni Ottanta e Novanta, qualche puntata nei mari tempestosi della ricerca “in purezza” (come nel caso dell’attacco di Erbalunga) o anche, al contrario nelle tranquille baie della “folk music” nella prosecuzione della già citata Erbalunga, con la presenza di una fisarmonica che richiama alle nostalgie popolari. Ma nella navigazione c’è posto anche per la “etno-music”, come nella intro di I would if I could, che poi prosegue tra malinconici paesaggi disegnati dalla tromba e vibranti dosi energetiche di sax o di clarinetto. Insomma è molto difficile parlare o scrivere della musica di Jonathan Coe e della Artchipel Orchestra; ma tanto è difficile scriverne o parlarne, tanto è facile e piacevole da ascoltare. Di Coe scrittore mi piace ricordare “The Rotter’s Club”, tipico romanzo inglese degli anni Ottanta, che racconta di una band di compagni di college, ma che contemporaneamente dipinge anche la nascita del punk in Uk, nel periodo di Margaret “lady di ferro” Thatcher, le violente azioni dell’IRA, le lotte del Labour Party e molto altro.

La “strana coppia” Coe-Faraò, è ormai un punto fermo nel panorama musicale della musica di qualità (ecco, questa è una definizione che mi piace) e il riconoscimento della prestigiosa rivista Musica Jazz ne è la conferma.


Tracklist:
01. I would if I could
02. Suspended moment
03. Erbalunga
04. Looking for Cicely
05. Spring in my step

Photo © Roberto Priolo