Articolo di Luca Franceschini e immagini sonore di Andrea Furlan
Il concerto milanese di Any Other ha rivelato una grande verità, se ancora non ce ne fossimo resi conto: Adele Nigro è uno dei più grandi talenti musicali che ci sia al momento in Italia.
Ripeto, un po’ lo si sapeva già. L’abbiamo ammirata per dieci mesi nella band di Colapesce, dove ha fatto il bello ed il cattivo tempo quasi conducendo per mano gli altri musicisti ed occupandosi di cori, chitarra e sassofono con una disinvoltura non comune, se si pensa che era la sua prima produzione importante. Abbiamo poi ascoltato Two, Geography, il secondo disco dei suoi Any Other, che ha trasceso il Folk un po’ ingenuo degli esordi, per approdare nei territori più adulti ed impervi già battuti da nomi come Wilco, Pavement, Courtney Barnett e tutte quelle realtà che fanno fluire liberamente la loro creatività senza essere limitati da barriere di genere.
Un disco sorprendente, semplice e allo stesso tempo complesso, dove si è messa a nudo senza imbarazzo, raccontando la fine di una storia d’amore e il difficile processo di riappropriazione della propria consapevolezza ed autostima.
Mancava l’ultimo tassello, vederla portare questo lavoro dal vivo e qui abbiamo dovuto pazientare un po’, a causa della decisione di iniziare il giro dall’Europa.
Purtroppo arrivo al Serraglio troppo tardi per poter assistere all’esibizione di Tobjah, il nuovo progetto acustico di Tobia Poltronieri dei C+C Maxigross, che ha aperto la serata.
È comunque piacevole constatare come il locale sia pressoché imballato, a testimonianza di un interesse verso Adele che dopo questo disco pare esponenzialmente cresciuto. Tra il pubblico anche diversi musicisti, Andrea Poggio (a cui ha prestato tutte le voci femminili del suo esordio solista Controluce), Verano e addirittura M¥SS KETA che ovviamente, essendo a volto scoperto, nessuno ha riconosciuto.
Si parte poco prima delle 23, con i nostri che salgono sul palco in sordina, accolti dagli applausi scroscianti dei presenti. La cantante appare timida e leggermente agitata (più tardi lo confesserà, che suonare nella sua città d’adozione per lei non è mai un concerto come gli altri), ha i capelli raccolti ed indossa un camicione verde scuro abbottonato sul collo, come se fosse un personaggio di una serie ottocentesca tipo “Downtown Abbey”. Assieme a lei alle tastiere, c’è l’amico e collaboratore di una vita Marco Giudici, mentre la sezione ritmica è affidata ai talentuosi Alessandro Cau alla batteria e Giacomo Di Paolo al basso.

Una band ridotta all’osso ma ottimamente funzionale al sound volutamente scarno dell’ultimo disco, che non a caso viene eseguito per intero, canzone dopo canzone, in ordine di tracklist. L’ottimo drumming di Cau tinge di Jazz le atmosfere, fornendo uno straordinario e mai banale pattern su cui basso e tastiera si inseriscono con naturalezza, dialogando tra loro a riempire gli spazi con grande disinvoltura, con Adele che suona spesso la chitarra acustica e solo saltuariamente abbraccia l’elettrica, per qualche breve assolo o qualche ritmica più robusta. Musicalmente quindi funziona tutto benissimo, anche la resa sonora è ottima (il Serraglio su questo aspetto non tradisce mai), semmai ci si potrebbe lamentare solo per l’assenza del sassofono, che era stato usato a più riprese sul nuovo disco, fornendo un contributo fondamentale al valore dello stesso. Purtroppo nel contesto live è stato lasciato fuori (difficile per lei gestirlo in contemporanea con la voce, visti i punti in cui è stato impiegato) e se vogliamo, questa è stata l’unica pecca di una riproposizione altrimenti ottimale, che ha in gran parte trasformato le nuove canzoni, dando loro un carattere ancora più spontaneo ed urgente.
Il punto di forza però, il centro assoluto del concerto, è stata la voce. E su questo devo ricredermi: quando l’ho intervistata il mese scorso le avevo detto che la preferivo quando canta in italiano ma questa sera mi ha totalmente impressionato anche nella sua versione inglese, che peraltro è quella che lei preferisce. Che avesse una bella voce e che sapesse usarla lo sapevamo già. Quello che non avevamo ancora capito (per lo meno io) era il livello di consapevolezza che avesse raggiunto nell’esprimerla. Timbro, controllo, interpretazione, espressività: nella prova milanese tutte queste voci raggiungono il massimo punteggio ed è pazzesco constatare quanta strada abbia fatto in così poco tempo, quanto sia cresciuta quella ragazzina che solo cinque-sei anni fa si esibiva nel duo delle Lovecats. Siamo rimasti a bocca aperta più volte, soprattutto quelle volte in cui i suoi compagni d’avventura l’hanno lasciata da sola sul palco. La prima parte di Perkins e soprattutto Mother Goose sono state di una bellezza e di una intensità disarmanti. Tutto il disco comunque funziona bene, dai singoli Walkthrough e Travelling Hard, fino a Capricorn No (“Ho scritto questa canzone in un momento in cui non stavo troppo bene, alla fine ho capito che è ok anche non stare bene, per cui non ascoltate quelli che vogliono convincervi del contrario” ha detto, dimostrando una maturità ben maggiore dei suoi 23 anni), alla title track e al conclusivo bozzetto acustico di A Place.

Terminato il disco, ci tiene a chiarire che non ci saranno bis, che è una cosa che ha voluto fare per questo tour e che “Con me funziona così, baby!”. Arrivano gli ultimi tre pezzi e sono tre pezzi dall’esordio Silently, Quietly, Going Away. Un disco che ci era piaciuto quando era uscito ma che adesso, messo a confronto con quello che abbiamo appena ascoltato, rischia seriamente di scomparire nel nulla.
In realtà tiene botta inaspettatamente: Something e His Era sono tra gli episodi migliori mentre Sonnet #4, eseguita in solitaria, a sorpresa, senza averla mai provata e dopo un lungo tempo di assenza dalle scalette, è da pelle d’oca.
È durato poco meno di un’ora ma è impossibile dirsi scontenti. Il ritorno di Any Other a Milano ne ha sancito la grandezza, ne ha celebrato la crescita, ha messo davanti a tutti la bellezza di un disco la cui importanza, sarà riconosciuta come un dato oggettivo negli anni a venire. Li aspettiamo a breve in un posto più capiente, se lo meriterebbero davvero…


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