R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Si schermisce Michele Tino quando, sulla sua pagina web, esibisce i propri timori e insicurezze nel presentare il disco d’esordio Belle Époque. Pur potendo comprendere l’ansia che può accompagnare un musicista alla sua prima uscita discografica da titolare, bisogna altresì evidenziare che questo è un debutto eccellente che ci presenta un saxofonista di grande maturità tecnica ed espressiva. È anzi quasi incredibile che questo lavoro sia un’opera prima, ascoltandolo infatti senza conoscere nulla dell’autore si può decisamente pensare ad un musicista più navigato piuttosto che ad un esordiente. Del resto la Auand ha un catalogo ricco di ottimo jazz italiano, soprattutto interpretato da giovani leve e ci ha abituato, da tempo, all’ascolto di dischi di grande qualità come questo. Sarà pur vero come asserisce lo stesso autore che le composizioni presenti in Belle Époque risalgono a periodi temporali diversi, tuttavia l’assemblaggio delle stesse in un unico percorso non dimostra discontinuità, anzi, si può cogliere nella sequenza dei brani una buona omogeneità, una linearità esecutiva che dimostra tutta la bontà del progetto. Non è sempre così facile trovare i riferimenti espressivi nelle sonorità del sax, piuttosto morbide anche nei momenti di maggior impegno tecnico. Vi sono comunque degli evidenti richiami all’ispirazione-guida di Charlie Parker in alcuni brani – del resto quale sassofonista jazz non si è mai misurato con la sua influenza – ma in altri, presumibilmente composizioni più recenti, si avverte l’ascendente di musicisti di altra generazione come Steve Lacy e Wayne Shorter, soprattutto nell’esecuzioni delle scale che forzano la tonalità di base, entrando ed uscendo con eleganza dai limiti armonici d’impianto.

Il sax acquisisce, con Michele Tino, una propria dimensione riflessiva. Non affonda nel cuore dei sentimenti, non dimostra d’immergersi nella dimensione drammatica dell’esistenza ma piuttosto la costeggia, prendendole le misure, osservandola da una posizione privilegiata, raccontandola come un narratore distaccato e poetico descriverebbe la sua storia personale. In questo disco Tino è accompagnato da Simone Graziano al piano, al Fender Rhodes e al Synt, da Gabriele Evangelista al contrabbasso e Bernardo Guerra alla batteria.
La track-list comincia con Truth, brano dalla melodia aperta, dove si offre molto spazio al pianoforte di Graziano che si dimostra totalmente in sintonia con le escursioni del sax. I due strumenti viaggiano in sicurezza, muovendosi entrambi a cavallo della tonalità, creando un mood notturno molto affascinante. Buono anche il lavoro ritmico di contrabbasso e batteria che non lasciano momenti di vuoto. Between hands ha degli effetti sonori un po’ stranianti mescolati alla musica, sia in apertura che in chiusura della traccia. Il Rhodes dice la sua imitando la sonorità d’una chitarra che potrebbe perfino sembrare quella di Abercrombie. L’atmosfera generale si fa più inquieta, il sax è pulito e si avvale di un’estetica shorteriana costruendo melodie diafane e un po’ spettrali. Gringo innesca una marcia superiore aumentando la velocità espressiva. L’influenza di Charlie Parker e di Sonny Rollins lascia le sue tacche sullo strumento di Tino che fa la sua bella figura nonostante il peso specifico dei due maestri. Buono e nervoso quanto basta l’assolo di Evangelista al contrabbasso. In L’idiota l’introduzione viene affidata al pianoforte di Graziano che prelude all’inabissamento in territori più interiorizzati. Il tempo rallenta e aumenta la prossemica tra gli strumenti che cercano il loro spazio uno nei confronti dell’altro. La musica sembra provenire da un altro luogo, un mondo ulteriore vissuto con più delicatezza, quasi con stupore.

Chiasma inizia con un piglio energico svolto dal sax alto di Tino con un’intenzione che mi ha ricordato certe escursioni alla Steve Lacy. Dopo una partenza veloce l’arabesco onirico del sassofono rallenta, le maglie si allargano, il tempo si sospende in una dilatazione in cui è il piano a tracciare la rotta. Devo dire che Graziano mi ha veramente impressionato come strumentista, così come, in questo brano, la batteria di Guerra che pur non facendosi prepotentemente notare costruisce la sua trama di sostegno con un accurato e raffinato drumming. Ara Pacis è un dialogo che parte in duetto tra sax e contrabbasso a cui si uniscono con tocco gentile batteria ed effetti di synt, questi ultimi gestiti con gran garbo e senso della misura. Atmosfera surreale, rarefatta, garantita dalla linea melodica semplice del sassofono, quasi un brano alla Weather Report. Sharks genocide è una linea melodica asciutta in cui, oltre al solismo del fiato, ascoltiamo come piano e ritmica siano capaci di creare un pavimento di solida struttura alle escursioni molto evolute dello stesso Tino. Quando sembra che il brano si debba esaurire è il piano a creare un magnetico alone luminoso dentro cui, in progressivo crescendo, gli altri strumenti vi riprendono posizione. Her choice è un pezzo piuttosto accattivante nel quale, ancora una volta, il Fender Rhodes esce allo scoperto sotto l’ombra benevola di Zawinul. Tutto si svolge in brillante scioltezza, con basso e batteria che accompagnano discreti ma vigorosi la chiusura finale dell’album. Grande prima prova, quindi, questa di Michele Tino e compagni. Una scrittura esteriormente levigata ma che possiede una tensione interna gestita con cura, senza esplosioni incontrollate di energia ma regolata come ci fosse un’ipotetica valvola che rilascia pressione un po’ per volta. Siamo già a ottimi livelli sulla linea di partenza, quindi, ed è lecito poter prevedere per Michele Tino un futuro molto luminoso.

Tracklist:
01. Truth
02. Between Hands
03. Gringo
04. L’idiota
05. Chiasma
06. Ara Pacis
07. Shark’s Genocide
08. Her Choice