R E C E N S I O N E


Recensione di Stefania D’Egidio

Nel giorno in cui il mondo intero piangeva la morte di una leggenda, ecco che un’altra bussa alla porta per ricordarci che c’è ancora e che venderà cara la pelle prima di passare a miglior vita. Lo fa nel migliore dei modi, forse l’unico che conosca, Ozzy Osbourne, tornando con il suo tredicesimo album in studio, considerato anche Under Cover del 2005. Se la grandezza di un personaggio si misura dall’importanza dei nomi che hanno partecipato alla realizzazione del disco, allora Madman non ha pari in questo, avendo chiamato a raccolta per quest’ultima fatica alcuni dei migliori chitarristi al mondo: dall’amico di lunga data Tony Iommi, riff master ineguagliabile, a Zakk Wylde, Jeff Beck, Mike McCready ed Eric Clapton, insomma gente che non ha bisogno di tante presentazioni. A completare la rosa Robert Trujillo dei Metallica al basso, già collaboratore di Ozzy in passato, Chad Smith dei RHCP e il compianto Taylor Hawkins dei Foo Fighters, che si alternano alla batteria; se stessimo parlando di basket sicuramente sarebbe un dream team! Del resto come poter rifiutare una chiamata del Principe delle Tenebre? Nonostante i continui problemi di salute, che lo hanno afflitto negli ultimi anni, e che altro non fanno che alimentare le fantasie su un ipotetico patto con il diavolo per avere l’immortalità, Ozzy non sembra avere nessuna voglia di mollare il microfono.

Se il precedente Ordinary Man del 2020 mi era piaciuto, ma con qualche perplessità legata alla sperimentazione di improbabili collaborazioni con artisti distanti anni luce dalla sua musica, Patient n. 9 mi ha convinto fin dal primo ascolto dei singoli che ne hanno preceduto l’uscita. Sonorità più cupe, maggiormente in linea con il suo stile, con un rimando sia ai bei tempi dei Black Sabbath, che non finirò mai di rimpiangere, che alla produzione anni ’80: il risultato è un album che piacerà soprattutto ai fan di vecchia data, quelli che in lui hanno identificato il padrino del heavy metal. Si comincia in sordina con la titletrack, tra urla da vecchio manicomio, risate isteriche e synth che creano suspence, finché non arriva Jeff Beck ad impreziosire il tutto con riff e assoli tirati. Melodia bella e orecchiabile, cosa comune a tutti i pezzi, e arpeggi che ricordano Diary of a Madman. Dura oltre sette minuti.

Per la successiva Immortal basso pesante alla Geezer Butler e fucilate di chitarra in stile grunge, non a caso suonata da Mick McCready dei Pearl Jam. Ritmo bello tirato. La track più heavy è forse Parasite, si riconosce il tocco del caro vecchio Zakk; nonostante la trama granitica e l’assolo al fulmicotone, grande attenzione all’orecchiabilità del cantato. In No Escape From Now tornano invece le atmosfere cupe dei Sabbath con gli arpeggi seguiti da rocciosi power chord e i classici cambi di tempo di Tony Iommi. La temperatura dell’album sale inarrestabile.

Per One Of Those Days sale in cattedra un altro mostro delle sei corde, Mr. Slow Hand con i suoi fraseggi iconici, mentre A Thousand Shades è una ballad malinconica, di quelle che riescono bene a Osbourne, con un Beck che colpisce di nuovo nel segno e un testo autobiografico (mi sto uccidendo ma non muoio mai/è uno di quei giorni in cui non credo in Gesù). I violini sul finire donano un tocco di epicità al tutto.

Dimensione più acustica nell’arpeggio di Mr Darkness, ma per un minuto appena prima che Zakk si scateni con le distorsioni; bello il cambio di passo sul finale e l’alternanza di tempi lenti e veloci, che crea la giusta tensione. Nothing Feels Right è la canzone più in linea con la produzione solista del principe delle Tenebre con un assolo da urlo da parte di Wylde.

Evil Shuffle è il pezzo che meno mi ha entusiasmato, ma certo non è da gettare via. Ben altro tiro per Degradation Rules in cui l’armonica di Ozzy si alterna alla chitarra di Iommi come ai bei tempi di The Wizard. Che dire? quattro minuti di libidine!

Gli anni ’80 si ripresentano in Dead And Gone, con batteria e basso che vanno a braccetto nell’intro e le distorsioni che entrano in un secondo momento, e in God Only Knows, brano riflessivo, probabilmente anch’esso autobiografico, sulla fine che si avvicina e, lo sappiamo, Ozzy non è nuovo a questo tipo di elucubrazioni perché anche in 13 dei Black Sabbath ci aveva deliziato con i suoi interrogativi sulla vita e sulla morte. Chiude il cerchio la bellissima Darkside Blues in cui fa capolino di nuovo l’armonica, come a volerci riportare laddove tutto era iniziato in quel di Birmingham: peccato duri solo poco più di un minuto, ma la risata finale mi fa pensare che Ozzy abbia ancora in serbo qualcosa per noi.

Premesso che con le mie recensioni esprimo sempre un mio giudizio personale e che ciò che piace a me non necessariamente deve piacere ad altri, come dico sempre ai leoni da tastiera che si inalberano per i miei articoli, questo è un album che mi piace e mi convince. Se per alcuni brani del precedente Ordinary Man, non lo nascondo, avevo storto il naso, di Patient n.9 mi piacciono tutti e fa niente se non tutto è farina del suo sacco: sarà che sono una “strimpellatrice seriale”, ma vedere (e sentire) così tante leggende della chitarra in un unico album mi ha fatto davvero crogiolare. Il secondo motivo per cui adoro quest’album (e a questo punto mi darete della boomer) è che evoca i fasti del passato, sia per quanto riguarda la produzione sabbathiana che per quella solista. Se avete tempo guardatevi anche i video che ne hanno accompagnato l’uscita perché, come al solito, Ozzy pesca a man bassa dall’immaginario horror tra vampiri, demoni e crocefissi con una bella alternanza di scene a colori e scene in bianco e nero, simpaticamente in stile Scooby Doo.

Voto: 10/10.

Tracklist:
01. Patient n.9 (ft. Jeff Beck)
02. Immortal (ft.Mike McCready)
03. Parasite (ft. Zakk Wylde)
04. No Escape From Now (ft. Tony Iommi)
05. One Of Those Days (ft. Eric Clapton)
06. A Thousand Shades (ft. Jeff Beck)
07. Mr Darkness (ft. Zakk Wylde)
08. Nothing Feels Right (ft. Zakk Wylde)
09. Evil Shuffle (ft. Zakk Wylde)
10. Degradation Rules (ft. Tony Iommi)
11. Dead And Gone
12. God Only Knows

13. Darkside Blues

Photo © Ross Halfin