R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Il coerente universo propositivo della Emme Record Label si arricchisce di un nuovo album, Tough Future, del sassofonista contraltista nuorese Elias Lapia, ventottenne alla seconda prova discografica. Così com’è accaduto per il suo collega di scuderia, il quasi coetaneo esordiente Lorenzo Bisogno (potete leggere una sua recensione proprio qui), non posso fare a meno di meravigliarmi di fronte alla maturità e all’ammirevole sapienza tecnico-espressiva di questi due giovani musicisti. Diversi, certamente, nello stile e nelle intenzioni, ma accomunati da quella capacità di riassumere decenni di jazz nelle loro battute con la voglia di proporre tutta una gamma di nuove sfumature all’interno di una dimensione per altro molto praticata, quella della classica formazione a quartetto. Leggendo poi il curriculum di Lapia che mi sembra particolarmente esemplificativo, mi trovo a riflettere su come le storie personali dei musicisti jazz italiani più giovani siano non solo simili tra loro, ma radicalmente cambiate nel giro di quest’ultimo trentennio rispetto a quelle dei loro padri. La crescita e la maturazione musicale passa oggigiorno attraverso la dimensione obbligata del viaggio, delle esperienze internazionali e di quelle collaborazioni con artisti d’ogni parte del mondo che stanno diventando abituali, soprattutto nell’ambito di una musica complessa e apparentemente in ascesa di consensi com’è il jazz. I giovani percorrono l’Europa e se ne vanno anche oltreoceano per affinare ed arricchirsi di esperienze musicali eterogenee e infatti, nello specifico che riguarda Lapia, ci sono stati soggiorni proficui in Francia e Olanda più una borsa di studio nel famoso bostoniano Berklee College. Il quartetto ben si adatta alla solidità strutturale di una forma musicale che preveda, in quest’occasione, il sax come strumento solista robustamente sorretto da due elementi che collaborano ad una ritmica compatta, insieme al ruolo armonizzante della chitarra elettrica.

Tra partiture intense e fluide improvvisazioni si sviluppa un universo caldo e intimo, arricchito qua e là dalle venature bluesy proposte soprattutto dalla trama cromatica della chitarra di Enrico Le Noci e dal solido supporto del contrabbasso di Alessandro Bintzios insieme alla batteria di Luca Gallo. Ascoltare un disco come questo ci fa sentire a tratti più vicini a certi ritmi urbani, ricchi di quell’intensità vitale tipicamente moderna, mentre il contralto dell’Autore vola in assoluta libertà espressiva, con un fraseggio in certi momenti veramente sulfureo ed in altri diretto a consumarsi un poco più pigramente. In un intervista rilasciata da Lapia a Manuela Ippolito Giardi per Musicalnews il quattordici marzo di quest’anno, il sassofonista accenna ai musicisti che l’hanno maggiormente influenzato ed oltre ad uno dei suoi diretti insegnanti come John Ruocco, vengono citati tra gli altri Kenny Garrett, Joe Lovano e Chris Potter, in aggiunta ai soliti nomi sacri come Parker e Coltrane. Ma lo stile sempre affilato e caldo di Lapia mi sembra sufficientemente personale tanto da potersi permettere ormai una nicchia riconoscibile tutta sua. La musica di questo gruppo vibra di moduli contemporanei ma si mantiene nello stesso tempo in continua e in logica evoluzione rispetto alla tradizione del passato, per altro evitando di diventare elitaria e riuscendo ad essere gradevolmente fruibile da un pubblico più vasto. Si avverte lungo tutto il percorso di questo album quel tanto di tensione nervosa sottopelle garantita non solo dal suono del sax, ma anche dall’approccio sincopato della ritmica, consustanziale al senso melodico e sintattico imposto da Lapia. Ma cos’è cambiato, dunque, rispetto al lavoro d’esordio del 2020, The Acid Sound? Al di là del fatto che il pianoforte di Mariano Tedde sia stato sostituito dalla chitarra di Le Noci, paradossalmente l’album precedente poteva sembrare quasi più all’avanguardia di questo stesso Tough Future, però l’impressione consuntiva è che Lapia fosse allora più frenato, meno rilassato e più concentrato a costruire le sue frasi perdendo però in scioltezza e sicurezza, qualità che invece paiono essere addirittura strabordanti in questo suo ultimo disco. Parliamo di una completa maturazione, quindi, una situazione in cui, con questo quartetto, l’Autore dimostra di essersi costruito un baricentro gravitario affidabile, offrendo una sensazione di fermezza e solidità che forse, prima, non riusciva ad emergere pienamente.

A proposito di forza di gravità, il primo brano in scaletta è Newton 1, solido manifesto costruito su quello che è lo status espressivo del gruppo. Il sax e la sua timbrica piena di calore, dopo l’impostazione del tema, si mantiene tagliente come una lama, scivolando in un’improvvisazione piena di abbondanti cromatismi, serrata sintesi dell’influenza coltraniana, piena di improvvisi impulsi fiammeggianti alternati a parentesi più riflessive. Ottimo l’intervento di chitarra che ricalca, a suo modo, il be-bop su cui si struttura il brano. Le sirene del blues attirano Le Noci e si fanno sentire in lontananza, rifinendo la traccia proprio con queste sfumature misurate nella loro asciutta essenzialità. In definitiva, un incipit dell’album come meglio non si sarebbe potuto. Con Sp la ritmica accelera rincorrendo un nervosissimo tema appena accennato dal sax e subito seguito dall’agile chitarra che si prende molto più spazio che nel brano precedente, innescando un colloquio saettante a tre con la poderosa ritmica costantemente presente, mai rumorosa, impegnata in un lavoro di assoluto, scoppiettante sostegno. Poi ancora Lapia con il sax a promuovere un assolo alla ricerca anche di note fuori scala che cuce insieme a quelle più tonali, stando attento a non naufragare in parentesi free ma rimanendo quasi in un apocrifo parkeriano di elevata caratura tecnica. Con Human Misery riusciamo a tirare un lungo respiro perché la musica rallenta, pur senza entrare nell’ambito della ballad, nonostante la liquida timbrica della chitarra ne sembri scrivere la prefazione. Invece si va verso il blues che si intuisce dalle note più prolungate del sax fino a sfociare manifestamente in una frazione più classica del genere e che comunque non sottrae nulla all’esuberanza di Lapia. Il sassofonista si raccoglie in un assolo quasi prodigioso – e non sto esagerando – sia tecnicamente che dal punto di vista espressivo. La chitarra resta invece più tranquilla, a ricordarci di come si può ben utilizzare la levetta del tremolo senza essere stucchevoli. Da segnalare tra l’altro, l’ottimo spezzatino ritmico ad opera di Gallo. Black Screen Life Codes si mantiene in una zona intermedia tra il blues – si avvertono le parentesi del walking bass di Bintzios – e il be-bop, per cui i tempi appaiono abbastanza moderati, almeno in un primo momento. In effetti il brano, innescato da un tema notturno per la verità non molto incisivo, si regge sulla efficace improvvisazione di Lapia alla ricerca di note al limite della regolarità armonica ma sapientemente conglomerate in un insieme turbinoso di fraseggi, tenuti comunque sempre sotto controllo dalla guida consapevole del sassofonista. Nell’ultima parte del pezzo un arpeggio di chitarra convoglia il brano in un ritmo simil bossa-nova che conduce alla chiusura.

September Night dichiara apertamente di essere una ballata delicata, dai toni morbidi e malinconici, attenta a non scadere nel sentimentalismo. Il tema, intimamente persuasivo, viene espresso con chiarezza dalle note staccate del sax che cede spazio, nelle fasi iniziali, ad un sentito assolo di contrabbasso. Dopo questo, ancora Lapia, con la sua prosa cristallina, intavola un assolo moderato, che si rifugia in un suo personale teatro d’ombre, adattando le proprie sonorità più impulsive a una dimensione maggiormente riflessiva e ponderata. Smart Ass, dal titolo esplicito, trova il tempo di qualche istante all’unisono tra sax e chitarra per imbarcarsi in un frenetico pulsare di ritmi, assoli incalzanti nella classica geografia del be-bop, quasi un irredentistica rivendicazione da hipster dei tempi che furono, magnificamente condotta da Lapia e Le Noci in un profluvio quasi provocatorio di note. Il momento del contrabbasso opera da cuscinetto arginando momentaneamente la corsa di chitarra e sax, che si riprendono tuttavia nel finale, riproponendosi con i momenti all’unisono ascoltati all’inizio del brano. Newton 2 è una seconda track con un minutaggio di qualche secondo più lungo rispetto a Newton 1, con alcune varianti negli assoli ma fondamentalmente analoga alla traccia d’apertura, forse con qualche sfumatura più blues nel suono della chitarra. La Danza dell’Orso pare impegnarsi, all’inizio, in un tema con qualche esuberanza ritmica sudamericana ma poi il brano prosegue per una propria strada, senza più una connotazione geografica così precisa. La chitarra, nel suo assolo, è accompagnata da un robusto contrabbasso suonato con nerbo che si prolunga anche nella ripresa del sax tra improvvisazione e rimpolpamenti melodici. Un buon esempio di integrazione tra i quattro strumenti, anche se assemblato con un pizzico di autoindulgenza. No Hang chiude all’insegna di uno swing, genericamente più rilassato e nobilitato da un altro unisono molto meno serrato tra chitarra e sax. Le Noci cerca un senso più riposato tra le sue note durante l’assolo che risulta comunque di grande esecuzione e così procede pure Lapia, accentuando la spigolosità del fraseggio nella seconda parte del brano. Finale a due, con l’ottima batteria che coglie l’occasione di un verace assolo, accompagnata da un deciso riff di contrabbasso con qualche lontana reminiscenza rockeggiante, giusto prima della conclusione.

Mi sorprende come il titolo dell’album faccia riferimento a tempi futuri duri o difficili. Se le cose stanno come effettivamente sono, prevedo invece un avvenire luminoso per Lapia che dimostra in questo suo album una precipua rotta stilistica giusto a metà strada tra jazz contemporaneo e tradizione. Il linguaggio del gruppo lavora sui tempi stretti e sui fraseggi quasi feroci del sax, appoggiandosi sulle sottotrame ritmiche che contrabbasso e batteria mantengono con materica densità. Ottima la chitarra elettrica, con i brani, tutte composizioni originali di Lapia, che reggono bene nella loro forma omogenea dall’inizio alla fine dei giochi.

Tracklist:
01. Newton 1 (6:30)
02. SP (5:46)
03. Human Misery (8:52)
04. Black Screen Life Codes (5:00)
05. September Night (6:23)
06. Smart-Ass (6:32)
07. Newton 2 (6:44)
08. La Danza Dell’Orso (5:16)
09. No Hang (6:22)