Articolo di Stefania D’Egidio
Tell Me How You Really Feel è il secondo album di Courtney Barnett, uscito a tre anni di distanza dal tanto acclamato Sometimes I Sit And Think, Sometimes I Just Sit, considerato dalla critica tra i migliori album di debutto dell’anno; tra il 2015 e oggi solo una collaborazione con Kurt Vile.
Viso pulito, aria semplice da ragazza della porta accanto, la cantautrice australiana ha militato in diverse band locali prima di fondare una propria etichetta, la Milk! Records, con cui ha pubblicato alcuni EP e i due album.
Voce indolente, a metà tra Chrissie Hynde dei Pretenders e Courtney Love, la sua ultima fatica, pubblicata il 18 maggio, presenta qua e là spruzzi di suoni grunge e postpunk; forse non brillerà per originalità, ma è anche vero che ormai nella musica rock c’è rimasto poco da inventare: gli anni migliori, purtroppo, sembrano ormai passati da tempo e gli artisti contemporanei non possono far altro che assimilare e riproporre con nuove sfumature, cercando di aggiungere un tocco personale che consenta loro di distinguersi dal magma creato dalla globalizzazione.
Quanto ai testi sono semplici e diretti, tesi ad esplorare la condizione umana in tutte le sue sfaccettature, dalla solitudine di City Looks Pretty (“a volte mi sento triste/non è poi così male/un giorno forse mi farò un giro”), all’amore in Hopefulessness (“nessuno è nato per odiare/prendi il cuore spezzato e trasformalo in arte”), alla rabbia esplicita di I’m not Your Mother, I’m not Your Bitch (“non sono tua madre/non sono la tua puttana/cerco di essere paziente, ma non posso sopportare così tanta merda”).
Chitarre sporche, bassi avvolgenti, l’album è a tratti pervaso da atmosfere decadenti, come nell’iniziale Hopefulessness, in altri momenti riprende garbo, come in City Looks Pretty, Help Yourself e Sunday Roast, con ritmi incalzanti di batteria e assoli di chitarra che rendono omaggio alla migliore tradizione della psichedelia e dell’indierock.
La terza traccia, Charity, è il brano più leggero e allegro dell’album, impressionante per la somiglianza con lo stile dei Pretenders, mentre Need A Little Time è una ballad dal sapore nostalgico che ti catapulta indietro di vent’anni per tre minuti abbondanti. A scuoterti dal torpore grunge arrivano le successive Nameless, Faceless e I’m not Your Mother, I’m not Your Bitch che hanno un piglio marcatamente punk.
Walkin’ On Heggshells è la canzone più orecchiabile con un riff sporco di chitarra che ti resta in testa per tutto il giorno.
Il mio voto per Tell me How You Really Feel è 8/10: se infatti l’album di esordio ci aveva quasi fatto gridare al miracolo, in questo Courtney sembra più voler andare sul sicuro, svolgendo bene il suo compitino, quello di consolidare il ruolo di astro nascente del panorama indierock femminile.
Tracklist:
Hopefulessness
City Looks Pretty
Charity
Need a Little Time
Nameless, Faceless
I’m Not Your Mother, I’m Not Your Bitch
Crippling Self-Doubt and a General Lack of Confidence
Help Your Self
Walkin’ on Eggshells
Sunday Roast
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