R E C E N S I O N E


Recensione di Riccardo Talamazzi

Dicono le note stampa che accompagnano questo Mysterium Lunae che l’autore, Lorenzo de Finti, si presenta per la terza volta all’attenzione degli appassionati in una formazione a quartetto. Notizia corretta, ovviamente, ma a rischio di fraintendimento. La discografia completa comprende tre ulteriori uscite, una a suo nome (Colors of Life -2017), una con il gruppo OST (Groove Connection -2005) e il suo esordio discografico uscito come Lorenzo de Finti Group (Oltre il deserto -1998). Tutto ciò per inquadrare meglio la personalità di questo pianista jazz che non è certo, basta leggere le datazioni dei suoi album, l’ultimo arrivato. Il titolo del suo lavoro più recente, appunto Mysterium Lunae, è fortemente accattivante, in parte per un certo magnetismo arcano che possiede di per sé la lingua latina, in parte perché questa dicitura era l’attributo metaforico che i Padri cristiani utilizzavano nel IV-V° secolo per riferirsi proprio alla Chiesa. Come la luna, infatti, la luminosità spirituale dell’ecclesia poteva brillare solo di luce divina riflessa. Sembra che questa locuzione fosse stata creata da Cirillo D’Alessandria, venerato oggi come santo, anche se questi fu probabilmente l’istigatore dell’omicidio di Ippazia, filosofa neo-platonica vissuta a quei tempi, colpevole di essere donna e portatrice di sophia, quindi due volte condannabile. Ad ogni modo, il mistero a cui probabilmente si riferisce De Finti è quello classico, l’affascinante turbamento che proviamo scrutando l’astro violato dall’Uomo, perenne riferimento dei romantici d’ogni tempo e irriso feticcio dell’ironia dissacrante dei futuristi. Una velata ombra di romanticismo non è aliena in questa musica di De Finti ma c’è da aggiungere un particolare importante. La realizzazione del disco non solo ha subìto l’interruzione provocata dalla pandemia ma l’autore si è ritrovato, allo scoppio della stessa, isolato al di fuori dei confini italiani e ha dovuto affrontare un lungo periodo di quarantena prima di poter rientrare a casa. Disagi e malesseri si sono però attestati lontano dall’essenza di questo lavoro. Una barriera selettiva ha impedito l’accesso a inutili pessimismi ed ha invece favorito un aspetto più positivo, non tanto basato sull’accettazione rassegnata della realtà come tale, quanto piuttosto sulla possibilità di riflettere ulteriormente riguardo al rapporto simbolico tra luce e buio. Pandemia come momentanea eclissi solare, buio come transitorio passaggio lunare verso una promessa di nuovo splendore.

L’album è strutturalmente molto solido, lascia pochi spazi vuoti. I musicisti colmano il loro mondo di note materiche e corpose, senza abbandonarsi a particolari languori meditativi, attenti a non smarrirsi in un rischioso eccesso di sentimentalismo. A volte si ha l’impressione di una valenza sinfonica, come se si fosse immaginata, in fase di arrangiamento, una componente orchestrale a sostenere i loro pieni strumentali, con persino qualche tentazione “progressive” tra le righe. Altre volte la punteggiatura ritmica rallenta, il discorso si fa più intimo ma senza eccessive coloriture d’introversione. La formazione del quartetto ha una sola variante rispetto a quella degli album precedenti e cioè alla tromba e al flicorno troviamo Alberto Mandarini al posto del cubano Gendrikson Mena, mentre sono ancora presenti Stefano Dall’Ora al contrabbasso e Marco Castiglioni alla batteria.

Si inizia proprio con Mysterium Lunae immersa in un bagno di liquidi arpeggi di piano, mentre un certo accenno melodico iniziale viene impostato dal contrabbasso. Una sequenza che si ripete prima del potente intervento del tema vero e proprio in cui si avverte a sostegno, oltre alla tromba, un effetto elettronico di base. La batteria procede linearmente e sembra di ascoltare i King Crimson attraverso un opportuno salto spazio-temporale. In seguito il brano si fa più meditativo grazie al pianoforte di De Finti che pur agendo con molta grazia e precisione sui tasti, mantiene la sonorità dinamica di base piuttosto sostenuta, fino a quando l’epico tema non viene ripreso in tutto il suo fulgore. È la volta poi di un calibrato assolo di tromba che si fa strada all’interno di una momentanea rarefazione strumentale. Il suono sale, acquista via via maggior potenza espressiva ma invece di riprendere il tema, come ci si sarebbe aspettati, va a terminare in una parentesi simile ma più sintetica rispetto a quella iniziale. Mystery Clock si manifesta con qualche accenno lineare di pianoforte, poche note ripetute sotto di cui il contrabbasso si serve dell’archetto in un primo momento, per poi riprendere l’abituale pizzicato. Il brano tende ad assomigliare ad una classica jazz ballad, vuoi per il brushing di Castiglioni, vuoi per gli interventi discreti della tromba. C’è una certa similitudine, in questo contesto, con i gruppi jazz nordici per i frequenti cambi atmosferici e per gli interventi del piano che puntano in primis ad un carattere espressivo piuttosto che meramente tecnico. Eppure De Finti, e qui ne abbiamo il chiaro sentore, non solo ha dalla sua una rigorosa preparazione strumentale ma, come già osservato in precedenza, una non comune pulizia del suono. Si mette in mostra anche la scura cavata di Castiglioni subito prima dell’intervento della tromba. Ecco che dalla presunta ballata si passa a qualche cosa di differente, il suono diventa più potente e deciso e l’assetto generale della musica acquista un che di drammatico.

Whispers from the end of the world si profila con una cadenza molto lenta, in tonalità minore. Piano, archetto sul basso, una tromba che si apparta in un angolo impostando toni luttuosi. Entra la batteria, scivolando sul rullante e sui piatti mentre il piano s’incammina su un sentiero melodioso, seguito da un convulso contrabbasso. Sale lievemente la dinamica del brano con l’assolo di tromba nel finale, al culmine del pieno strumentale, che finisce poi per chiudersi irradiando aloni di solitudine. Nel suo alternarsi tra un desolato dormiveglia e una serie di sensuali iridescenze sonore Whispers… si conquista la palma della traccia migliore, da ascoltare e riascoltare molte volte per carpirne tutte le numerose sfumature. Tiny Candle in the Storm, nonostante esordisca come il brano precedente, cioè con solitari accordi di piano, viene come precettata da una ritmica appena più euforica veicolata dalla corsa moderata della batteria. Su questa si organizza il bel suono della tromba di Mandarini che si distende coi suoi timbri riverberanti al di sopra di una trama formata da un’ostinata, ansiosa miscela di suoni gestita dal resto del gruppo. L’assolo di piano è ficcante, quasi bruciante. Poi stop improvviso che prelude al gran finale dove s’incrementa la potenza sonora, con il contrabbasso a far da cornice, recuperando gli accordi di piano che comparivano all’inizio per terminare spegnendosi progressivamente, con rumori elettronici di fondo che ricordano un temporale ventoso. Minuial Enni Arphent sembra ad un primo momento, con quel basso ad archetto e il piano in arpeggio, un incipit schubertiano con qualche moderna dissonanza in più. Dalla metà brano in poi si gettano le maschere e ci si orienta decisamente verso un’atmosfera più jazz ma il suono, nel suo complesso, se non fosse per la tromba di Mandarini, ricorderebbe nelle sue intenzioni gli svedesi EST o i Tingvall Trio. L’ultimo brano della selezione è ancora Mysterium Lunae in una versione studio-live in cui non mi sembra di cogliere significative differenze con l’omonimo brano d’apertura, se non nella seconda metà dove l’improvvisazione pianistica sembra meno frenetica e la tromba un poco più dolce e rallentata.

Un disco molto maturo, questo Mysterius Lunae nella sua globalità, che viaggia tra impeti strumentali oceanici e momenti più riflessivi, tenendosi molto al di qua rispetto alla frontiera del silenzio. Non c’è la solitudine dei grandi spazi ma molteplici tentazioni orchestrali e volontà di frastagliare la costa musicale in sequenze di golfi e penisole, senza comunque far trasparire appannamenti della vena compositiva né dando mai l’impressione di alcuna fase di stanca. L’ultima considerazione riguarda il concetto di musica d’assieme che pur, concedendo tempi opportuni per gli assoli di tutti, regala la netta sensazione di un forte legame tra gli elementi della band, tanto da far pensare ad un sentimento d’amicizia che proceda oltre ad una normale relazione professionale.  

Tracklist:
01. Mysterium Lunae
02. Mystery Clock
03. Whispers from the End of the World
04. Tiny Candle in the Storm (Shining on Us)
05. Minuial Enni Arphent
06. Mysterium (Studio Canaa Live Version)